II°CAPITOLO DELLA MIA TRUMP TRILOGIA PREDITTIVA

Geopolitica del Diritto alla Protezione e alla Riservatezza dei Dati Personali e del Diritto Inalienabile dei Dati Sensibili

BRAIN

Questa breve disamina è la prosecuzione dell’articolo CHINA’S “BLACK SWAN” PUBBLICATO IN LINKEDIN IL 25 SETTEMBRE 2018   che concludevo affermando: « Per quanto reggerà l’economia “drogata” statunitense questo è un altro discorso che affronteremo…»

Prima di prendere le mosse da qui non posso resistere da una premessa che prende spunto dalle letture di analisi di “supposti” esperti di geopolitica in base a titoli accademici o incarichi editoriali che spesso mi chiedo come abbiano potuto ottenere…

A volte ho la netta impressione che studiosi di geopolitica o manager, anche molto autorevoli, che dovrebbero avere gli strumenti per una visione globale,  abbiano una memoria labile di ciò che hanno scritto o affermato precedentemente alla loro ultima “esternazione” oppure volutamente emettono “responsi” volutamente criptici, ambigui o equivocabili sullo stile della Sibilla Cumana, dove un “non” con una virgola posta prima o dopo faceva tutta la differenza (“ibis, redibis, non morieris in bello/ibis, redibis non, morieris in bello: Andrai, ritornerai e non morirai in guerra”/”Andrai, non ritornerai e morirai in guerra”).
Raramente qualcuno di essi è colto da onestà intellettuale e, ex post, ha il coraggio di affermare di aver detto una scocchezza; il che porta a supporre due ipotesi di cui l’una esclude l’altra:

  1. Erano in buonafede ma ci si avvede che ormai usano il pilota automatico non rinnovando continuamente il proprio network informativo e delegando ai propri assistenti le ricerche e gli approfondimenti del caso, senza verificarli, perché essi sono troppo occupati in comparsate televisive, eventi mondani e quant’altro corrobori un po’di sano narcisismo; non vi sarebbe alcunché di male se ciò non comportasse uno scadimento delle loro ricerche e gli facesse dimenticare che la loro autorevolezza è ormai solo tenuamente appesa agli anni di gioventù spesi nelle certosine ricerche e negli studi ritenuti ormai trascurabili;
  2. La seconda categoria, che presumo invece un poco meno in buona fede, è perfettamente al corrente del presumibile trend globale che non può sfuggire alla’analista accorto (certamente nessuno prevede il futuro, ci mancherebbe ! Ma la superficialità di certe analisi lascia sconcertati), tuttavia il nostro preferisce orientare la pubblica opinione verso altri orizzonti che, guarda caso sono funzionali a governi, grandi organizzazioni o banche d’affari di è consulente.

Chiedo scusa per l’incipit polemico e vengo immediatamente alla prospettica sugli Stati Uniti.

Posto che nelle organizzazione e nella strategia delle super potenze non vi è nulla di casuale focalizziamo gli obiettivi dell’Amministrazione Trumpiana.
Non parlo di “Amministrazione” a caso…

Gli Stati Uniti non sono il loro Presidente o meglio il Presidente è solo il volto del potere: il presidente lo decide Corporate America a seconda degli interessi geostrategici delle grandi Corporations.
La personalizzazione presidenziale è un errore.
Il Presidente rappresenta degli interessi concreti ed è fondamentalmente un attore che recita appunto il ruolo del Presidente.

“Passo indietro con brevissimo cenno storico.
Nel 1773, Henry Price, Gran maestro provinciale su tutto il Nordamerica per la Gran loggia d’Inghilterra, concesse lo statuto ad un gruppo di massoni di Boston. La loggia fu poi chiamata St. John’s Lodge.
I padri fondatori della massoneria americana furono Benjamin Franklin – che ripubblicò le costituzioni di Anderson del 1723 nella propria veste di Gran maestro provinciale di Pennsylvania- e, in modo particolare, George Washington e dunque fu l’inizio dello scozzesimo nel quale spicca l’opera di Albert Pike, artefice superiore del rito scozzese che, tuttavia, rifiutò, senza il minimo scrupolo, le logge nere di Prince Hall.

L’alleanza franco-americana durante la Rivoluzione d’America, incarnata dall’amicizia leggendaria dei due massoni Washington e La Fayette, tuttavia non evitò relazioni tumultuose tra le obbedienze francesi e americane fino alla rottura ufficiale del 1877.
La presenza massonica francese, riprese, per quanto discreta, con l’ inaugurazione della loggia “L’Atlantide”, fondata nel 1900 a New York dal GODF.
Tuttavia, ancora attualmente, le Gran Logge americane, come la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, considerano le obbedienze francesi, ad eccezione della GLNF (Grande Loge nationale française), come “irregolari”.
Le GLNF sono a Washington ma anche a San Francisco e hanno una chiara impronta laica e “liberal”; pertanto dimostrano che la massoneria liberale ha un certo potere di attrazione per alcuni Americani.
Non a caso ho fatto questa digressione storica perché noteremo nella storia americana un continuo “pendolarismo” delle Amministrazioni Presidenziali tra un atteggiamento “liberal” (almeno apparentemente, come vedremo), che trae la sua eredità dalla massoneria di obbedienza francese, a politiche decisamente più conservatrici di “obbedienza” inglese.”  

Il “mood” della Presidenza USA viene concordato tra le Agenzie preposte alla Difesa, al Controspionaggio ed allo Spionaggio della Super Potenza e Corporate America.
Questa cabina di regia rappresenta ciò che era il Politburo nell’Unione Sovietica e quello del Partito Comunista Cinese.
Per fare alcune esempi, scorrendo le presidenze più significative: i giovani Kennedy belli e brillanti, ricchi e raffinati bostoniani ( ormai ripulitisi dal passato paterno di traffici nel proibizionismo) e JF, in particolare -anche eroe di guerra insignito della Navy and Marine Corps Medal- rappresentavano i prototipi vincenti di un’America liberal e smart proiettata al futuro, alternativa all’ideologia comunista in pieno periodo di acuta guerra fredda.
L’insignificante Nixon, uomo di apparato, fu identificato come l’uomo giusto per fare il lavoro sporco di una guerra ormai impantanata tra le paludi dell’estremo oriente.
Reagan, più noto come sindacalista maccartista che come attore, in un’ America economicamente sfiduciata e sempre più insicura nella sua leadership di superpotenza globale, grazie agli enormi investimenti militari stanziati durante la sua presidenza sfiancò economicamente l’URRS in una rincorsa impari negli armamenti, riuscendo a piegarla e facendo degli Stati Uniti l’unica superpotenza mondiale rimasta.
Bill Clinton e Hillary rappresentarono perfettamente l’immagine di un’ America ritornata nuovamente swinging, liberal e trendy dove la deregolamentazione del sistema finanziario, l’allargamento a dismisura del credito (mutui subprime) e della politica dei tassi bassi della FED favorirono la successiva bolla immobiliare e di Wall Street.
Non per nulla, anni addietro, nel 1979, Hillary Diane Rodham era stata la prima donna a diventare socia della prestigiosa Rose Law Firm, che annovera tra i suoi clienti soprattutto Istituti Finanziari e Gruppi Immobiliari –Rose Law Firm Clients – diventando uno dei 100 avvocati più influenti degli Stati Uniti e consigliere d’amministrazione di multinazionali del calibro di Walmart e Lafarge/Holcim, leader mondiale nel settore dei materiali da costruzione.
Clinton fu anche definito “the first black president” per la speciale “relationship” con gli afroamericani, fondamentale per l’establishment Wasp, dopo la profonda frattura, determinata dalla rivolta di Los Angeles del 1992 alla fine della Presidenza di George Bush, che avrebbe potuto destabilizzare il paese con una nuova guerra civile.
Tuttavie le azioni di Bill Clinton, piuttosto che le sue parole, esaminate attentamente, rivelano un “record” molto più dannoso per gli interessi dei neri di quello di molti presidenti repubblicani.
Durante la sua presidenza si diffuse la teoria dei “Super Predators” massimamente rivolta ai giovanissimi di colore, persino bambini; Bill Clinton fece sì che durante la sua presidenza siano stati incarcerati più afroamericani rispetto a qualsiasi altro presidente nella storia degli Stati Uniti.

Clinton però operò abilmente una divaricazione tra l’upper e middle class afroamericana e le classi emarginate afroamericane che man mano gonfiavano le carceri di giovani uomini di colore mentre giovani madri nere furono ingaggiate in lavori poco remunerati dall’iniziativa di “workfare” di Dickinson.

Come commentò l’editorialista afro-americana dell’Arkansas, Deborah Mathis « il rispetto che Clinton mostrò ai consiglieri e membri neri del Congresso (non mancò mai alla cena annuale del Congresso Black Caucus) fece molto per aiutarlo a guadagnarsi il perdono per le sue effettive decisioni concrete ».

Il capollavoro di saldare di dividere la comunità afroamericana tra coloro che ce l’avevano fatta e che ormai si identificavano nei valori tipici della middle class bianca fu compiuto con l’elezione di Barack Hussein Obama II, riuscito prodotto della comunità dei servizi segreti americani.
Sua madre, Stanley Ann Dunham, nei ranghi della CIA negli anni ’60, fu operativa in Indonesia dove figurò come archivista presso l’ambasciata USA di Jakarta; poi insegnerà presso l’East-West Center dell’Università delle Hawaii, noto come centro di formazione dei quadri della CIA operanti in Africa.
Obama Sr. fu il primo studente africano dell’università e sposò Dunham a Maui il 2 febbraio 1961, in seconde nozze.
La sua elezione nel 2008 ha confuso due livelli ben diversi: quello della rappresentanza simbolica e quello della rappresentanza di interessi.

Questa distanza fra piano simbolico e risultati politici scardina il giudizio sull’ «era Obama».

Sebbene Obama, soprattutto nel secondo mandato, provò ad avanzare alcune riforme o proposte come il Fair Sentencing Act, è stato evidente sin dagli esordi che, per l’amministrazione, qualsiasi riferimento complessivo alle problematiche razziali fosse un passo verso un campo minato. L’accusa di giocare « the race card » è stata costante e lo stesso Obama si è mosso molto prudentemente in direzione di una politica « race-neutral »  piuttosto che « race-conscious ».
La stessa linea di « neutralità razziale » emerge ormai in una miriade di personaggi televisivi, star hollywoodiane, stelle sportive o star della musica spesso usati come esempi di quanto la « blackness » abbia ormai trovato posto nella cultura mainstream fino ad essere accettata ed esaltata.
Dal “Black is Beautiful”, slogan della grande rivoluzione culturale portata avanti negli anni sessanta, si è passati al “Black is cool”.
Le stesse celebrità afro-americane, si pensi a figure quali Le Bron James, Carmelo Anthony, Oprah Winfrey o persino personaggi un tempo refrattari al coinvolgimento politico come Michael Jordan, anche se animati da un sincero intento di denuncia, una volta promossi nell’Olimpo dello star system, sembrano soffrire, con diverse pendenze, della « sindrome di Obama ».
Come poter essere critici in una società che ti ha elevato fino al successo? Non si diventa la prova vivente della sua giustezza?
In verità sotto l’amministrazione Obama la discriminazione razziale si è aggravata con diffuse pratiche discriminanti presenti ancora oggi nei processi di assunzione per lavori qualificati e il passaggio da duecentomila americani in carcere nel 1970 a due milioni e mezzo nel 2015, circa il 25% della popolazione carceraria mondiale, di cui il 37% afro-americani.
In questo contesto, gli episodi denunciati dal Black Lives Matter, appaiono in linea con quello che viene definito “razzismo istituzionalizzato”. Una cultura nella quale il confine imprecisato fra stereotipi razziali, interventismo poliziesco ed impunità, si traduce in “incidenti mortali” per gli afro-americani.

LA PRESIDENZA TRUMP E LA STRATEGIA AMERICANA NEI CONFRONTI DI CINA ED EUROPA

La classe media americana ha iniziato la sua decadenza decenni fa.
A partire dall’amministrazione Reagan negli anni ’80, la politica del governo degli Stati Uniti è passata dal promuovere i guadagni ed il potere d’acquisto della classe media alla moltiplicazione dei patrimoni dei ricchi ma questo non è stato ovvio fino alla recessione del 2008, perché gli acquisti dei consumatori, fino ad allora, ressero.

Come è stato possibile che reggessero nonostante il calo di competività del made in USA e della produttività ?
La semplice risposta è che Corporate America e i suoi finanzieri escogitarono due modi per interrompere il legame tra i profitti e il benessere della classe media:

  1. Prestare denaro tramite lo scambio spericolato di titoli garantiti da ipoteca e altri strumenti garantiti da attività ( i tristemente famosi “derivati”) consentì agli emittenti di credito di realizzare profitti record, indipendentemente dal fatto che i consumatori potessero estinguere i loro debiti. 
  2. Favorire il ricorso alla delocalizzazione producendo beni a basso costo con un notevole impatto deflattivo.

Entrambi le strategie indussero la classe media a non percepire la cristallizzazione dei propri redditi nell’illusione di mantenere intatto il proprio potere d’acquisto.
Terminato l’effetto di questa illusione ottica – già ampiamente previsto dai Think Tank più prestigiosi del Paese – per controllare la crescente frustrazione e rabbia della working class occorreva portare il processo alla fase finale: il Reshoring backshoring (o rilocalizzazione), cioè il rientro a casa delle delle linee produttive manifatturiere che in precedenza erano state delocalizzate in Paesi asiatici come Cina o Vietnam.

Oggi infatti anche in Cina le retribuzioni sono cresciute e si è ormai formata un’ampia classe media ed il costo del lavoro di questi paesi non costituisce più una fonte di vantaggio competitivo.
Al contrario, per le imprese americane, la complessità e la difficoltà di gestire una global supply chain potrebbe diventare un potenziale fattore di peggioramento dell’efficienza organizzativa, di aumento dei costi transattivi legati alle spedizioni e di rallentamento nella capacità di monitorare la performance.

Corporate America, infatti, a differenza dell’ingenua UE, ben si è guardata di trasferire Know How e con competenze tecniche complesse in quei paesi mantenendo in Patria le maestranze specializzate, l’innovazione tecnologica, la formazione, la ricerca e sviluppo, la creatività e la polivalenza dei team di lavoro (i c.d. cross-functional team) portando nei paesi di delocalizzazione solo quello che viene definito l’unskilled labour tipico della catena di montaggio gerarchizzata.

L’ ultima considerazione dei Corporate Think Tank per dare scacco matto all’illusoria aspirazione di super potenza della Cina e indebolire l’ Europa è che l’unico mass market globale è del mondo è e sarà fino a prova contraria quello USA, togliendoci l’altra illusione ottica di un nuovo grandioso Eden consumeristico nei mercati orientali dove essenzialmente è avvenuto semplicemente un travaso di ricchezza dalla classe media europea a quella asiatica con un gioco a somma zero.

La guerra sui dazi di Trump è la perfetta esecuzione dell’ultima mossa sul goban di go: lo Tsuru No Sugomori “le gru ritornano al nido”, abile manovra con cui si catturano i pezzi nemici.

“America First” è il suo mandato tramite il ridimensionamento delle aspirazioni cinesi e la disgregazione della UE.

Come ?
Con la UE è stato facile tanto è stato l’aiuto che le avventate politiche comunitarie – stupidamente rigoriste all’interno e estremamente liberiste all’esterno- hanno portato a favore della disgregazione della UE e, vedremo più avanti, come è intervenuta la manina americana per favorire il processo.

Con la CINA : Premesso che la Cina entrò nel TWO nel 2001 grazie alle pressioni degli Stati Uniti che decisero di non fare collassare il regime di Pechino come in Unione Sovietica anche perché gestire il collasso di un Paese così complesso, abitato da quasi un miliardo e mezzo di persone, sarebbe stato oltremodo problematico.
Decisero, pertanto di “riciclare” la Cina in un’ enorme fabbrica “labourintensive” senza regole praticando dumping sociale, ambientale ed economico, in modo da inondare il mercato americano globale con prodotti a basso costo a favore del potere d’acquisto della middle class americana ed europea ormai stremata.

Ciò premesso, con la Cina per gli Usa è stato più complicato scegliere l’opzione giusta per via non solo del solito dualismo interno che ho già descritto – liberal e conservatore – ma dal fatto che, in questa circostanza, troviamo il Corporate hi-tech su posizioni diverse rispetto al Traditional Corporate (come la finanza, la vendita al dettaglio, la produzione e l’industria pesante) pur con posizioni non omogenee come vedremo.

Il sistema più diretto, da knock out, utilizzato da Trump – non potendo replicare un Plaza Accord come fu fatto con il Giappone dal 1985 al 1987 imponendo un valore del tasso di cambio del dollaro rispetto allo yen diminuito del 51%, per ridimensionare l’aggressività industriale del Sol Levante – è quello di distruggere l’esportazione cinese e quindi indebolire alla radice la sua potenza dato che la Cina ha un evidente surplus produttivo rispetto all’esigua domanda interna ed è pertanto l’esportazione che le consente di non scendere sotto la soglia del 6% di incremento del Pil, giudicato, da tutti gli analisti, la soglia minimale per mantenere la coesione nazionale di questo complesso paese, molto meno monolitico di quanto si pensi.

Sostanzialmente la politica di incremento dei dazi e dei prodotti colpiti made in china corrisponde, mutatis mutandis, all’enorme incremento delle spese militari e quindi dell’apparato bellico, voluto dall’Amministrazione Reagan, che fece collassare l’Unione Sovietica.

In questa circostanza storica, però, negli States, osserviamo che quella che dovrebbe rappresentare l’anima liberal del Paese ( per intenderci il mondo tech della Bay Area a partire dalle Big Five Alphabet , Amazon , Apple , Facebook e Microsoft e i loro emuli sparsi nel Paese) paradossalmente è stata fortemente restia a questa politica di scontro frontale con il gigante cinese ( e infatti appoggiò Hillary Clinton per la Presidenza), e non solo perché teme di perdere un mercato gigantesco ma anche per una questione filosofica e funzionale di fondo non ancora ben sviscerata dagli analisti.
Per spiegarmi meglio cito Ray Dalio, fondatore e CEO di Bridgewater il più potente Hedge Fund del mondo.
Tutti i dipendenti Bridgewater devono apprendere un manuale di 210 lezioni i cui principi basici sono i seguenti:

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Questo manuale si basa su tre mantra supremi: trasparenza, verità radicale, relazioni intense. Apparentemente sembrerebbero i principi di una vita in un Eden. In realtà, la decantata “trasparenza”, a Bridgewater «significa che esiste un sistema dove ogni singolo minuto di lavoro in ufficio è filmato e registrato, e tutto ciò è reso disponibile in una videoteca a chiunque nell’azienda, dal barista a Dalio».

È per questo che i 1.500 dipendenti di Bridgewater lavorano con uncoach di gestione dell’intelligenza artificiale che è in programma di raggiungere un nuovo livello di capacità e integrazione all’interno dell’azienda nei prossimi due o tre anni, un software che riproduce i “princìpi” di Dalio e si chiama di PriOs. Questo allenatore è collegato al software di gestione esistente di Bridgewater, inclusa l’app per iPad “Dots”:

In Dots, i dipendenti valutano le prestazioni degli altri in tempo reale durante le riunioni in base a tratti come l’assertività e l’apertura mentale, lasciando i commenti contestuali come necessario. Le valutazioni dei punti entrano in gioco con il processo di “decision-weighted decision making” presso Bridgewater. Quando una domanda viene posta a un gruppo, vengono considerate le medie dei punteggi dei punti di ciascun dipendente.
Il dipendente sa di essere “trasparente” «perché non può nascondere neppure un colpo di tosse di disapprovazione senza che tutta l’azienda possa vederlo». In più, Ray Dalio «ha dato ordine a tutti i suoi dipendenti di sfidare di continuo gli altri con giudizi o polemiche». E questo porta al Dalio-concetto di “verità radicale”: chi lavora sotto monitoraggio, incoraggiato a polemizzare con i colleghi, finisce maciullato «in una pubblica arena giornaliera per ogni respiro fatto e parola detta, in continue riunioni».
Di qui le “relazioni intense”.
Il “Wall Street Journal”, tempo fa, scrisse che in realtà a Bridgewater «si udivano singhiozzi convulsi di dipendenti nascosti nei bagni, unici luoghi dove le registrazioni sono vietate». La risposta di Ray Dalio fu: «Talvolta i sentimenti di chi lavora con noi vengono toccati. Ma questo è causato dall’amigdala. La cose non sono come appaiono: i nostri dipendenti vedono le proprie debolezze e si emozionano. Ma poi prendono fiato, si calmano e diventano razionali».

James Comey , direttore dell’FBI dal 2013 al 2017e che fu un dirigente della Bridgewater Associates dal 2010 al 2013, ecco cosa ha detto sulla sua esperienza presso Bridgewater: « Mi ci sono voluti tre mesi per adattarmi a Bridgewater, a quel punto ha apprezzato la sotto cultura di Bridgewater.» In una testimonianza video sul sito web di Bridgewater Comey ha affermato : «Combini quell’intelligenza, quella profondità e gli interrogatori a 360°; non c’è al mondo ambiente più esigente, indagatore e pervasivo di Bridgewater.»

Ray Dalio e Bridgewater rappresentano il paradigma dell’aspirazione ultima di Apple, Google, Amazon e Facebook. Esattamente quello che stanno tentando di fare insieme Tencent e il governo cinese. E l’asserzione falsamente innocente che viene posta è proprio quello del distopico TrueYou del romanzo Il Cerchio: «Se non sei trasparente, cos’hai da nascondere?».

Culturalmente la matrice comune trasversale di questi leader digitale che hanno decretato il machine learning e la A.I. come i nuovi dei da adorare nel terzo millennio la si ritrova nella cultura hippie (o hippy).
Nei primi anni ’60, i computer infestavano l’immaginazione popolare americana.
Brutti strumenti della guerra fredda, incarnavano la rigida organizzazione e la conformità meccanica che rendevano possibile il complesso militare-industriale. Ma negli anni ’90 l’alba dei computer di Internet ha iniziato a rappresentare un mondo molto diverso: un’utopia collaborativa e digitale modellata sugli ideali comuni degli hippies che si erano ribellati così violentemente contro l’establishment della guerra fredda, in primo luogo.

In quell’epoca la storia di un gruppo altamente influente di imprenditori della Bay Area di San Francisco: Stewart Brand and the Whole EarthRete ne è la testimonianza.
Tra il 1968 e il 1998, attraverso sedi familiari come il Whole Earth Catalog vincitore del National Book Award , il sistema di videoconferenza noto come WELL e, in definitiva, il lancio della rivista di grande successo Wired , Brand e i suoi colleghi instaurarono una lunga collaborazione tra il “flower power” di San Francisco e l’emergente polo tecnologico della Silicon Valley.

Grazie alla loro visione, esponenti della controcultura e tecnologi si sono uniti insieme per reimmaginare i computer come strumenti per la liberazione personale, la costruzione di comunità virtuali e decisamente alternative e l’esplorazione di audaci nuove frontiere sociali.
E alla fine scopriamo che la distanza tra i Grateful Dead e Google, tra Ken Kesey (Qualcuno volò sul nido del cuculo)  e il computer stesso, non è così grande come potremmo pensare.
E fino a qui tutto potrebbe sembrare una bella favola di innovazione e creatività imprenditoriale senonché il corto circuito avviene quando la sottostante filosofia orientale del lisergico e rinnovato”Flower Power”si incontra e si intreccia in maniera del tutto naturale col Confucianesimo orientale ( pertanto Cina e Oriente), religione che “sacralizza il secolare”, in cui l’individuo si disperde nel collettivo (vedi le comunità hippy), considerando le attività ordinarie della vita umana, e specialmente le relazioni intra-umane, come manifestazioni del sacro.

E cosa c’è di più sacro di un mondo governato da una suprema intelligenza umanoide che faccia da coach all’intero mondo con i suoi algoritmi perfetti ?

Ecco allora il Corporate Deep tech esitare di fronte alla minaccia orientale abbracciandone più o meno consapevolmente la filosofia del controllo pervasivo ora esercitato sotto il controllo di una dittatura politica domani di una suprema entità tecnologica.
Per decenni lo stesso Ray Dalio ha pubblicamente dichiarato la sua attrazione per la Cina dove fa affari dal 1993.

Rimane il fatto che sono gli esseri umani a creare algoritmi ne consegue che gli algoritmi possono perpetuarne i pregiudizi.
E per quanto ovvia possa sembrare questa affermazione, alcune persone anche piuttosto intelligenti non la comprendono in tutte le sue implicazioni.

Ecco cosa sta succedendo in Cina dove i nostri peggiori timori sono già diventati realtà !

Il sistema sviluppato in Cina assegnerà un punteggio ai cittadini a seconda dei loro comportamenti d'acquisto, i commenti sui social network, i ritardi nei pagamenti e le multe ricevute.
Il sesame credit-Zhima xinyong fen-rappresenta la maggior minaccia alla libertà delle perso

Dopo questa disamina che ci porta a pensare ad una certa collusione col dragone del Corporate DEEP TECH,  non ci rimane che parteggiare per il Traditional Corporate che è riuscito a imporre Trump, tramite la guerra sui dazi doganali al Dragone, a focalizzare nuovamente il dibattito americano sulla crisi della middle class americana.

EUROPA : e veniamo alla povera Europa.

Premessa: al di là della volontà dei Paesi Fondatori la vera ragione per cui venne costituita l’unione Europea fu per il contenimento della potenza tedesca soprattutto in previsione della sua riunificazione.

Il debutto dell’euro sui mercati finanziari risale al 1999, mentre la circolazione monetaria ebbe effettivamente inizio il 1º gennaio 2002 nei dodici Paesi dell’Unione che per primi hanno adottato la nuova valuta.
Il cambio euro/marco fu un grande regalo alla Germania come pure vennero cancellati ulteriori debiti (anche dalla Grecia e dall’Italia, e da nazioni povere) per consentire alla Germania di gestire la riunificazione senza rischiare il default.
gpg1-649-Copy-Copy-Copy-Copy-Copy-Copy-CopySuccessivamente in concomitanza con l’entrata della Cina nel TWO e la corsa alla delocalizzazione delle aziende americane venne concessa anche alla Germania, con successive e repentini allargamenti a nord e a est della UE, la possibilità di riscostituire la sua vecchia sfera di influenza Austro Germanica e di utilizzare i Paesi appena usciti stremati dalla morsa dell’URSS  il proprio oriente sotto casa per delocalizzare le produzioni tedesche labour-intensive.

In cambio di queste concessioni alla Germania e della tranquillità della Francia, che sperava di esserne il driver, gli USA, tramite i due giganti europei e l’appoggio incondizionato della casa madre britannica, fecero digerire ai restanti Paesi UE l’ingresso frettoloso e non graduato – senza garanzia di par condicio –  sia della Cina che dei paesi dell’ex blocco sovietico.

Tuttavia gli USA sottovalutarono le potenzialità dell’Unione Europea o per meglio dire dei suoi due azionisti forti franco tedeschi con il loro attivismo internazionale e la crescente ingerenza nella politica estera della Nato spesso confliggente con quella degli States.

Non starò qui ad elencare i numerosi accordi e le partnership russo germaniche che a Washington fanno sempre venire i brividi, molto più della Cina, costantemente e giustamente timorosi di un novello patto, anzi asse Molotov-von Ribbentrop.

Ma anche qui i Think Tank di Corporate America non si sono fatti sorprendere: infatti mentre la classe media americana – pur con tutti gli escamotage che abbiamo già esaminato – è stata e viene preservata,

la Vecchia Europa invece ha subito, con la globalizzazione selvaggia, uno dei più devastanti trasferimenti di ricchezze mai avvenuti nella moderna storia industriale occidentale; la più blasonata e antica borghesia del mondo – puntello delle democrazie europee e occidentali – è stata cancellata selvaggiamente in poco più di un decennio per trasformare dignitosi contadini cinesi in masse consumeriste strettamente controllate dalla nomenclatura di Partito.

Ai grandi paesi manifatturieri come la Germania, l’Italia e la Francia non era rimasto fino a poco tempo che consolarsi con l’export di qualità verso i novelli benestanti orientali, facendo finta che il mercato interno fosse ininfluente sulla solidità economica di una nazione.
Non occorre essere degli scienziati dell’economia per capire che con una Cina che entrerà in crisi e con un’ America in pieno reshoring da “America First” l’export europeo subirà una gran brutta batosta e la coesione europea – già squassata dalla crisi della classe media e ora dalla crisi dell’export – sarà sempre più in bilico, tentando ciascuno dei partner europei a portare avanti politiche nazionali individuali tramite accordi bilaterali,  assecondando involontariamente i piani degli strateghi USA (e non solo) all’insegna del “divide et impera“.

Trump, per quanto rappresentante della Old Corporate America non disdegnerà di usare gli strumenti sofisticati del Deep Tech per ottenere i suoi obiettivi come ha già fatto influenzando la Brexit e la sua campagna elettorale.

Cambridge Analytica e Palantir sono due società deep tech che hanno finanziato la campagna elettorale di Donald Trump.
Palantir è la società di data mining di Peter Thiel, che ne è stato il fondatore, e i cui clienti includono la NSA, la CIA e l’FBI. Thiel è anche un membro del consiglio di Facebook ed è un libertario conservatore con una visione distopica del futuro che ha finanziato la campagna presidenziale americana di Donald Trump.
Divenne miliardario attraverso una serie di investimenti tecnologici tra cui PayPal e Facebook.

Per avere un’idea dell’uomo ecco alcune perle del Thiel pensiero:
1. Nel 2009, Thiel ha pubblicato un famigerato saggio su un sito web del Cato Institute, in cui diceva “Non credo più che la libertà [economica] e la democrazia siano compatibili”.
2. Sempre nel 2009, ha scritto che dare alle donne il diritto di voto ha gravi conseguenze per la democrazia capitalista.
3. A differenza di molti altri libertari di estrema destra, Thiel ha una bizzarra interpretazione della concorrenza e del valore economico. Ha scritto un saggio del 2014 per il Wall Street Journal intitolato “Competition is for losers”. Il suo argomento? “In realtà, il capitalismo e la concorrenza sono opposti. 
Il capitalismo si basa sull’accumulazione di capitale, ma sotto una concorrenza perfetta, tutti i profitti vengono messi in competizione “.

Cambridge Analytica è stata fondata da Robert Mercer, il miliardario conservatore creatore di fondi hedge che ha anche finanziato Trump e Breitbart News, il gruppo di media di destra che viene spesso accusato di pubblicare storie fuorvianti.

La connessione tra Palantir e Cambridge Analytica è stata apparentemente suggerita da Sophie Schmidt, figlia dell’ex presidente di Alphabet Eric Schmidt e che era stata stagista presso SCL Group, un appaltatore della difesa e dell’intelligence con sede nel Regno Unito che ha creato Cambridge Analytica nel 2012.
Un’e-mail del 2013 vista dal Times ha indicato che Sophie Schmidt esortò SCL a collaborare con Palantir.
Cambridge Analytica e Palantir hanno iniziato il loro rapporto nel 2014, quando Christopher Wylie, il co-fondatore di Cambridge Analytica  – diventato informatore e testimone al Parlamento a Londra – ha visitato il quartier generale londinese di Palantir a Soho Square con il CEO di Cambridge Analytica Alexander Nix.

Di cosa è stata effettivamente accusata Cambridge Analytica? E perché dovrebbe interessarti?
Tutti quelli in questione negano qualsiasi illecito.

La società Cambridge Analytica ha infamemente sviluppato tali profili utente in uno strumento che potrebbe utilizzare per consentire agli altri di “microtargetizzare” gli utenti con annunci politici, “notizie false” e propaganda. Ciò ha portato alla possibilità che gli elettori siano ritenuti sensibili a messaggi di questo tipo che sono mirati specificamente a pubblicità politiche dubbie, mentre altri potrebbero essere esplicitamente esclusi dal vedere tali annunci e reagire ad essi. 

Questo “sistema” ha introdotto significative vulnerabilità nella nostra democrazia e potrebbe consentire alle aziende e alle organizzazioni straniere di influenzare indebitamente e indebitamente il processo elettorale.

Infatti, ecco come Channel 4 News rivela – tramite un’indagine sotto copertura-  in che modo Cambridge Analytica manipola segretamente campagne politiche nelle elezioni in tutto il mondo.
I boss sono stati filmati mentre discorrono o accennano all’uso di tangenti, ex spie, documenti falsi e prostitute.

Un'indagine sotto copertura di Channel 4 News rivela come Cambridge Analytica segretamente campagne nelle elezioni in tutto il mondo. I boss sono stati filmati parlando dell'uso di tangenti, ex spie, documenti falsi e prostitute.

Ecco allora come la vecchia e antica Europa, culla del Diritto e della Civiltà Occidentale, ha provato perlomeno a reagire legislativamente di fronte alle violazioni all’integrità più intima della persona sottraendogli più o meno consapevolmente e più spesso con l’inganno i dati personali e, ancor più gravemente, quelli sensibili.
I nuovi Regolamenti generali europei sulla protezione dei dati (GDPR) hanno notevolmente limitato il modo in cui i dati degli utenti possono essere raccolti, archiviati, usati e distribuiti con altre organizzazioni, ma ulteriori misure possono e devono essere adottate per proteggere le nostre democrazie.

Il rapporto presenta una serie di raccomandazioni per raggiungere questo obiettivo, tra cui:

  • Un divieto di pubblicità sponsorizzata all’estero sui social media durante il periodo elettorale.
  • Un tetto alle donazioni politiche e una maggiore trasparenza sulle fonti di donazione.
  • Limiti di spesa più rigorosi applicati alle organizzazioni di campagne.
  • Impronte su tutto il materiale pubblicitario (incluso materiale digitale) che mostra la fonte e lo sponsor del materiale.
  • Maggiore trasparenza sulla ripartizione della spesa da parte delle organizzazioni che fanno campagne.
  • Un archivio pubblico di tutto il materiale politico distribuito durante la campagna, compresi i dati su dove è stato distribuito e a chi.
  • Incrementi significativi delle pene inflitte alle organizzazioni che violano i regolamenti per evitare che gli esborsi per multe facciano già parte dell’ “inclusive” della loro campagna.

Shoshana Zuboff, una famosa studiosa della Harvard Business School nel suo studio “In The Age of Surveillance Capitalism”, afferma che è emersa una nuova forma di capitalismo, in cui la tradizionale concorrenza basata sui prodotti è stata sostituita dalla concorrenza basata sui dati.

«La privacy», afferma Zuboff, «è il diritto di decidere come si desidera vivere, ciò che si desidera condividere e ciò che si sceglie di esporre ai rischi della trasparenza. Nel capitalismo di sorveglianza, questi diritti ci vengono portati via a nostra insaputa. Senza il nostro consenso sono usati per progettare prodotti che prevedono il nostro comportamento.»
Questi prodotti vengono poi venduti in nuovi mercati che lei chiama mercati del futuro comportamentali.


Quanto  sta già ora avvenendo in Cina ci deve far riflettere profondamente e darci la convinta consapevolezza che la guerra per la difesa e la protezione dei dati personali è l’ultima frontiera delle democrazie liberal occidentali.
La dittatura orwelliana digitale che già si prospetta minacciosa sulle porte delle nostre antiche democrazie sia di monito per i nostri legislatori, per i governi, per la magistratura ma soprattutto per le pubbliche opinioni occidentali.
Questo tema deve essere d’ora in poi in cima all’agenda e all’ordine del giorno di tutti i governi delle Nazioni Liberali e Democratiche.
L’Europa occidentale, culla delle moderne democrazie liberali, deve farsi primo promotore di iniziative a livello globale per la tutela della Privacy del cittadino e de facto dello Stato Democratico di Diritto.