Forbidden
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GEOINTEL.BLOG.4.ITALIAN/SMES – MANIFESTO FOR ITALY

Baedeker for foreigners to understand the complexity of Italy and the Italian people  

  PREFAZIONE

L’Autore, nella sua infinita pochezza, tenta di dare, con questo breve pamphlet ( lo definisco così non in quanto “di parte” – non sono un giornalista ma un analista –  ma per una certa vis polemica che lo permea), delle coordinate ( semplici coordinate che non hanno assolutamente la pretesa di essere neanche lontanamente esaustive per le quali ci vorrebbe, e forse non basterebbero, neanche un’opera come la Treccani tra fonti aperte, “grey literature”o classificate) a quanti ogni mattina quando si alzano e ogni notte quando si coricano hanno la strana sensazione che le cose non vanno come naturalmente dovrebbero andare, quasi che ci fosse una forza sconosciuta ma potente, che ne indirizza il fine contrariarmente agli elementi di giudizio in possesso di quello che chiameremmo con linguaggio giuridico il ” bonus pater familias ” .

Marcello Lopez
Marcello Lopez

Ecco a costoro a cui va tutta la mia simpatia ( lo confesso ) codesto libello ( come si sarebbe detto un tempo) ha la presunzione di dare una  i codici di decriptazione  o più modestamente una cartografia che possa aiutarli, per sommi capi, ad interpretare con la chiave giusta gli avvenimenti passati, quelli presenti ed, esagero, anche una buona capacità predittiva di quelli futuri.

E tanto per cominciare a “mettere i piedi nel piatto”, posto che siamo in tema di cartografia e quindi di coordinate geografiche, latitudinelongitudine e altitudine come non dire che proprio a Greenwich, borgo della città di Londra,  fu convenuto nel XIX secolo di far passare il meridiano avente longitudine 0, vale a dire il meridiano fondamentale o meridiano di Greenwich.Il celebre Reale Osservatorio di Greenwich, conosciuto come Osservatorio di Greenwich, è un osservatorio che si trova a Greenwich e venne fondato nel giugno del 1675 da Carlo II, re d’Inghilterra e venne progettato dall’ ” architetto reale”  Christopher Wren,

Quasi contemporaneamente (il 4 marzo 1675) mise John Flamsteed a capo dell’osservatorio conferendogli il titolo di Astronomo Reale «per applicarsi con massima cura e diligenza al rettificare le tavole dei moti dei cieli, e le posizioni delle stelle fisse, affinché scoprisse la tanto desiderata longitudine dei luoghi per il perfezionamento dell’arte della navigazione».

M si sa il pendolo della storia agisce anche sulla potenza delle Nazioni e nel 1884 la Conferenza Internazionale di Washington stabilì che Greenwich fosse la sede convenzionale del Primo Meridiano di Longitudine Zero, ovvero 0° 0’ 0’’, punto di partenza per la determinazione della longitudine.

Da allora tutte le carte geografiche, astronomiche e nautiche vengono regolate in base ad esso e fu sancito quindi,  metaforicamente, con un moto traslatorio ( per riprendere la terminologia astronomica) che nel Greenwich Village, nel cuore di Manhattan, vi fosse l’apice solare cioè la  costellazione di Ercole nella cui direzione  si muovono il Sole e i suoi pianeti .

INVECE, PER COLORO CHE GIA’ ” SANNO” O “SONO” A VARI LIVELLI,   e si beano compiaciuti della loro appartenenza alla conventicola di turno, pensando che in virtù di questa appartenenza,  saranno immuni dalle conseguenze del loro operato, QUESTO SAGGIO SENZA PRETESE ( dubitate dempre della falsa modestia 😉 ) E’  UN INVITO ACCORATO AD UNA PRESA DI COSCIENZA, anche nel loro solipsistico interesse, perché ne verranno travolti anch’essi senza scampo.

Sir Winston Churchill ebbe a dire una volta degli italiani:

“Gli italiani vivono le partite di calcio come se fossero delle guerre; in compenso, vivono le guerre come se si trattasse di una partita di calcio”.       Londra 1952.

Proprio così. Perchè so che non pochi di voi che leggeranno queste righe faranno una smorfia compiaciuta e infastidita insieme.

Compiaciuta nell’assaporare man mano che vanno avanti nella mia disamina quel retrogusto amabile che ci dà la sicurezza di essere dalla parte dei vincenti e au diable le rest du monde e dall’ altro nei più intelligenti il risvegli0 della consapevolezza che di troppa furbizia ed opportunismo si muore.

Quanto ai cinici o coloro che si definiscono tali va tutta la mia compassione e anche se non di certo la mia simpatia: essi, infatti sono Dead Man Walking, morti viventi, automi il cui primo intimo disprezzo è rivolto verso sé stessi.

PER CHI HA ANCORA LA FORZA PER RISCATTARSI O LA TROVA PER SCENDERE DAL SICURO ( PER POCO) PIEDISTALLO DEL SUO CINISMO E DELLO STATU QUO prosegua con la lettura, rifletta che il potere delle nazioni come quello degli uomini è sottoposto al pendolo della Storia.

Ci sarebbero stati i Poteri e i potenti di oggi se non ci fosse stata la civiltà Ellenica e la Roma repubblicana e poi quella dei Cesari che con la sua espansione militare, grazie alla sua tecnologia e al suo diritto, creò praticamente l’Occidente e il Cristianesimo ?

Ebbene ora è un altro momento di passaggio, gli attuali imperi sono in crisi, I VECCHI PARADIGMI SONO O STANNO SALTANDO:  vassalli , valvassori e valvassini possono rescindere le loro servitù feudalie sedersi al tavolo di un re Artù primus inter pares e nulla più, con reciproco vantaggio : il Re avrà dai suoi Cavalieri della Tavola rotonda la vera lealtà che discende da un rapporto paritario e i Cavalieri vedranno rispettata la loro autonomia e la loro dignità di pari al servizio, per scelta consapevole, del Re migliore e più autorevole, senza timore di dissentire o prospettare alternative.

E ai cinici irriducibili dico: “ma guardate quanto siete belli ed ancora sani quando dagli spalti dello stadio tifate e urlate” goooooll” alla vostra squadra del cuore quando pure i bambini sanno che stanno assistendo ad un gioco truccato”.

Ecco recuperate anche solo un quarto di quella sana fanciullezza, togliete qualche crosta e calcinaccio che vi ha stratificato l’anima, tornate ad essere il faust delle origini e da domani cominciate a rescindere tutte quei contratti con Mefistofele.

RicordateVi che l’Italia se vuole sopravvivere deve finirla di essere l’Italia delle conventicole al servizio proprio o conto terzi e delle divisioni, perennemente in cerca del buffetto, dell’ incoraggiamento o della benedizione di poteri e potenze straniere.

Nessuno remi contro: altrimenti sia palesato, scoperto e perseguito dallo Stato come fa qualsiasi nazione che abbia la volontà di Potenza ( nell’interpretazione schopenhaueristico e non nietzschana del termine)

A nessuno Italiano è più concesso di non scegliere da che parte stare.

A CHI SCONSIGLIO CALDAMENTE LA LETTURA

  1. A coloro che per incultura o “humus ambientale” si comportano come il boss malavitoso che sotterra materiale altamente inquinante a pochi chilometri dalla villa hollywoodiana frutto dei suoi traffici. E’ evidente che costoro sono irrecuperabili.
  2. Coloro che non sanno o sanno fin troppo bene perché ricoprono determinate posizioni di vertice non avendone né l’acume né le competenze: questi sono “quacquaraquà” ininfluenti nel bene ma con un potenziale di pericolosità dato dalla loro intrinseca stupidità.
  3. Coloro che in uno studio di qualche tempo fa  della prestigiosa Emory University di Atlanta, pubblicato sulla rivista Philosophical Transactions of The Royal Society, sono privi di quel circuito neuronale che impedisce al soggetto che ne è provvisto di farsi comprare in cambio della rinuncia a quei valori che ritiene sacri e inviolabili; quello stesso cicuito che attiva l’amigdala e che alla profferta di dare un prezzo ai propri valori scatena reazioni di offesa e indignazione.
 L'Otto Pesi Leggeri
L’Otto Pesi Leggeri

       Ab Origine

Pur non essendo il più vasto impero mai esistito, spettando tale primato innanzitutto all’Impero Britannico e per continuità territoriale all’Impero Mongolo, quello di ROMA è considerato IL PIU’ GRANDE per gestione e qualità del territorio, organizzazione socio-politica, e per l’importante segno lasciato nella storia dell’umanità ( Secondo voi hanno lo stesso valore un mq a Manhattan e un ettaro di terreno nella pianura ungherese ?)

È certamente il più longevo. In tutti i territori sui quali estesero i propri confini i romani costruirono città, strade, ponti, acquedotti, fortificazioni, esportando ovunque il loro modello di civiltà e al contempo assimilando le popolazioni e civiltà assoggettate, in un processo così profondo che per secoli ancora dopo la fine dell’impero queste genti continuarono a definirsi romane. La civiltà nata sulle rive del Tevere, cresciuta e diffusasi in epoca repubblicana ed infine sviluppatasi pienamente in età imperiale, è alla base dell’attuale civiltà occidentale.
L’Impero romano arrivò all’apice della sua potenza durante i principati di Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio.

Maximum Expansion of the Roman Empire
Maximum Expansion of the Roman Empire

C’è stato un tempo in cui le obbligazioni erano scritte in genovese, i banchieri internazionali parlavano toscano, i broker assicurativi sottoscrivevano polizze in veneziano. Era il tempo in cui gli italiani – pur suddivisi in tanti stati spesso in guerra fra loro – insegnavano al resto del mondo come accedere al credito senza incorrere nei fulmini ecclesiastici sull’usura, come consolidare il debito pubblico, come far fruttare i risparmi e come evitare di farsi rovinare da un naufragio. Era il tempo in cui un rapinatore finiva decapitato e fatto a pezzi; in cui il fallimento di una banca gettava sul lastrico centinaia di famiglie; in cui gli italiani – chiamati indistintamente lombardi e considerati sordidi usurai – incorrevano nelle ire dei re e nell’indignazione dei popoli, pesante fardello che sarebbe in seguito passato sulle spalle degli ebrei. Era la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età moderna, quando i banchieri per lasciare ai posteri un buon ricordo di sé finanziavano i più illustri artisti della loro epoca: gli Scrovegni chiamano Giotto a Padova, come faranno vent’anni più tardi i Bardi e i Peruzzi nella fiorentina basilica di Santa Croce, e i Medici trasformano Firenze uno dei più importanti scrigni d’arte dell’umanità intera. L’Italia dà alla finanza moderna quasi tutti gli strumenti di cui ancora oggi ci serviamo: l’assegno, la girata, lo scoperto e, passando per la chiocciola di internet, la partita doppia, codificata da Luca Pacioli, un geniale matematico in saio francescano amico di Leonardo da Vinci.

L'Italia nel 1494
L’Italia nel 1494

Genova, Lucca, Siena, Firenze, Venezia e poi ancora Genova: sono queste le tappe dell’evoluzione bancaria, in un triangolo d’oro che unisce Liguria, Toscana e Veneto. I genovesi, forse i più geniali di tutti, danno il là a procedure che saranno in seguito sviluppate dagli altri. Ma quando già la finanza stava attraversando le Alpi e cominciando a parlare tedesco e olandese, nell’attesa di imparare l’inglese, proprio i genovesi diventano i tesorieri del re di Spagna e ne amministrano le enormi, favolose ricchezze provenienti dal Nuovo Mondo.
Lombard Street a Londra, rue des Lombardes a Parigi, Lombardenvest ad Anversa, la casa dei genovesi a Bruges, testimoniano ancor oggi il ruolo avuto dagli italiani; Michelangelo, Raffaello, Tiziano e Tintoretto non ci avrebbero lasciato i capolavori che conosciamo se alle loro spalle non ci fosse stato il denaro dei banchieri del Rinascimento.

London - Lombard Street was originally a piece of land granted by King Edward I (1272 — 1307) to goldsmiths from the part of northern Italy known as Lombardy (larger than the modern region of Lombardy).
London – Lombard Street was originally a piece of land granted by King Edward I (1272 — 1307) to goldsmiths from the part of northern Italy known as Lombardy (larger than the modern region of Lombardy).

Il 1494 segna la fine della politica dell’equilibrio e l’inizio di quel lungo periodo di conflitti che va sotto il nome di guerre d’Italia. Secondo una fortunata formula storiografica, questa data coincide con la fine della libertà italiana: la Penisola cade sotto l’egemonia delle potenze straniere (prima la Francia, poi la Spagna e infine l’Austria), una soggezione dalla quale si libererà solo nel 1866 con gli esiti vittoriosi della terza guerra di indipendenza.

L’UNIFICAZIONE D’ ITALIA: i peccati originali.

Sull’unificazione ancora il dibattito è aperto: fu caso o necessità? Furono più importanti gli eventi o gli eroi? L’Italia era nata con Dante oppure con Garibaldi?

Il travaglio che accompagnò l’ unificazione italiana può essere sintetizzato in una affermazione di Massimo D’Azeglio tratta dalla sua corrispondenza con il Matteucci.

« A Napoli, noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per stabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono e sembra che ciò non basti, per contenere il Regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti o non briganti, niuno vuol saperne. Ma si dirà: e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio, ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore e bisogna cangiare atti e principi. Bisogna sapere dai Napoletani un’altra volta per tutto se ci vogliono, sì o no. Capisco che gli italiani hanno il diritto di fare la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia, ma agli italiani che, restando italiani, non volessero unirsi a noi, credo che non abbiamo il diritto di dare archibugiate, salvo si concedesse ora, per tagliare corto, che noi adottiamo il principio nel cui nome Bomba (Ferdinando) bombardava Palermo, Messina ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo, ma siccome io non intendo rinunciare al diritto di ragionare, dico ciò che penso. »

Senza entrare nella polemica storicistica tra Settentrionalisti e Meridionalisti sulla ricostruzione contrapposta, e livorosa per certi versi, degli avvenimenti storici di quegli anni, diamo conto ancora una volta della potente ingerenza degli interessi stranieri nelle vicende italiane anche per ciò che riguarda l’Unificazione.

I° PECCATO ORIGINALE : l’Ingerenza delle Potenze Straniere.

Secondo la «logica della scacchiera», un’Italia unita faceva comodo a Londra come contraltare a Parigi. Ma prima occorreva demolire il Regno delle Due Sicilie, non disposto a fare «l’ascaro» di Sua Maestà Britannica. Protesa nel Mediterraneo, con migliaia di chilometri di coste da difendere, l’Italia unita voluta e sostenuta da Londra sarebbe stata sempre sotto ricatto della potente flotta inglese. Un progetto che non andò però sempre per il verso giusto (per gli inglesi). A questo riguardo trovo particolarmente interessante il tratteggio storico che emerge dalla lettura de’ “Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee, 1830-1861″ di Eugenio Di Rienzo, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Roma «La Sapienza» e direttore della «Nuova Rivista Storica». Di Rienzo si è occupato dei problemi relativi ai rapporti fra le potenze europee e lo Stato italiano pre-unitario dalla posizione più strategica: il Regno delle Due Sicilie.

Riporto di seguito le sue riflessioni.

II° PECCATO ORIGINALE:     Questione Meridionale e La Questione Romana.

A )  L’ANTI STATO : LA MAFIA (intendendo con mafia anche le associazioni criminali di altre regioni come camorra, ’ ndrangheta, Sacra corona unita).

 Se è vero che, secondo le stime, il Pil italiano è prodotto per il dieci-dodici per cento dall’economia criminale (e non vengono considerati in questi calcoli, per esempio, la produzione e lo smercio di armi).

le parole della sociologa palermitana Alessandra Dino, secondo cui la mafia costituisce “un network potente e articolato, che comprende esponenti del mondo della politica, dell’economia e delle professioni”. Un riscontro alla teoria dello storico Salvatore Lupo, per il quale c’è una “richiesta di mafia” non solo in settori della società civile, ma anche dell’imprenditoria, della politica, del sistema economico-finanziario e di certi poteri costituiti. “Richiesta” o meno, chiunque studi l’evoluzione delle mafie constata che per realizzare i loro affari esse hanno bisogno di commercialisti, immobiliaristi, operatori finanziari e bancari, amministratori e politici, notai e giuristi. Un intreccio perverso che costituisce la spina dorsale del potere mafioso e che si può contrastare – ripeto – soltanto con la figura del “concorso esterno”.

Sul piano processuale, non occorrono chissà quali studi per sapere che questa figura risale addirittura al 1875, come provano le sentenze della magistratura palermitana sul brigantaggio – e che essa fu poi impiegata nei processi per terrorismo (Brigate rosse e Prima linea) e in quelli di mafia – finché la sua legittimità è stata ripetutamente riconosciuta dalla Corte di cassazione, che ha anche stabilito rigorosi paletti garantisti.

“Mafie contro Stato”, una carta di Laura Canali sulla criminalità organizzata nel nostro paese. Da " Limes "
“Mafie contro Stato”, una carta di Laura Canali sulla criminalità organizzata nel nostro paese.
Da ” Limes “

Chi fa parte della zona grigia?

Scrive Francesco Tassoni  (Dalla lettera a Comunità Libere, Gioiosa Ionica e a Libera, Vibo Valentia, in “Quaderni del Sud-Quaderni Calabresi”, 104/106, giugno/dicembre 2008, pp. 139-140)

“Non basta denunciare il sistema mafioso (…), e neppure costruire luoghi di aggregazione sociale e posti di lavoro, senza contemporaneamente rompere di fatto, oltre moralmente, con quel sistema, senza iattanza ma in modo visibile, marcando nel concreto della situazione la differenza. Evitando di far parte, come avviene per la gran parte di essi (avvocati, sacerdoti, medici, ingegneri, insegnanti – non parliamo dei sindacalisti e degli altri ruoli direttivi) dell’establishement locale e delle sue regole di (buon) comportamento”

B )  L’ALTRO STATO : IL VATICANO

 Chiesa, religione, Cosa Nostra

Esiste un Dio dei mafiosi? Qual è il rapporto tra gli uomini d’onore e la religione? Fin dalle origini, la mafia ha attinto alla simbologia cattolica per rinsaldare i legami tra i suoi associati e attribuire dignità alle proprie azioni, creando una ‘religione capovolta’ a propria misura, cercando compiacenza e complicità tra i ministri del culto.

Resiste ancora oggi, tuttavia, una Chiesa dalle molte anime, in cui l’opera dei sacerdoti impegnati a diffondere sul territorio una pastorale antimafiosa si scontra spesso con l’atteggiamento di condiscendenza che altri religiosi mostrano per le ragioni del popolo di Cosa Nostra. Una Chiesa divisa, dunque, da cui il sistema di potere mafioso tenta di ricavare il massimo profitto in termini di strumentale legittimazione.

Il saggio La mafia devota* di Alessandra Dino antropologa palermitana, Hanno sconcertato molti, le professioni e le espressioni di fede di alcuni noti mafiosi (per esempio Provenzano), e la “ lettura” dei comportamenti religiosi di altri – o di un pentitismo sulle cui motivazioni alcuni sacerdoti hanno espresso dei dubbi, perché spesso causato soltanto dall’interesse alla riduzione della pena e dunque moralmente inautentico.

Tra i preti che la Dino ha accostato ci sono quelli che sembrano partecipare (ma più ieri che oggi) di una cultura ambientale coinvolgente, quelli che molto più seriamente distinguono tra il ruolo della Chiesa e il ruolo dello Stato e rivendicano la netta differenza dello sguardo, della posizione, dei doveri nei confronti di chi pecca (e delinque), e quelli infine che insistono sulla “questione morale” vedendone gli aspetti più latamente etici, civili, sociali. Se di cultura-ambiente si tratta, è su questa che essi pensano di dover intervenire, e lo hanno fatto a volte (don Peppino Diana a Casal di Principe, don Puglisi a Palermo) lasciandoci la vita.

Resiste ancora oggi, tuttavia, una Chiesa dalle molte anime, in cui l’opera dei sacerdoti impegnati a diffondere sul territorio una pastorale antimafiosa si scontra spesso con l’atteggiamento di condiscendenza che altri religiosi mostrano per le ragioni del popolo di Cosa Nostra. Una Chiesa divisa, dunque, da cui il sistema di potere mafioso tenta di ricavare il massimo profitto in termini di strumentale legittimazione. In questo libro Alessandra Dino racconta una storia difficile.

In questi ultimi anni alcuni vescovi del Sud hanno espresso posizioni nuove, molto coraggiose. Su “Famiglia Cristiana” (n. 11 del 14 marzo 2010), tre vescovi hanno commentato il documento della CEI sul Mezzogiorno.

Il Vescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro:

“Ci siamo occupati del sacro e non della fede … sosteniamo un’idea di Chiesa intrecciata attorno alle devozioni, che possono consolare, che non incidono e non cambiano i comportamenti”. “Proporrò di abolire ogni festa religiosa nei paesi dove si contano gli omicidi. Il sacro non basta per ritenersi a posto, se poi nessuno denuncia, e la cultura mafiosa è l’unica ammessa”.

Il Vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero:

“ Ogni comunità scelga un argomento in relazione alla situazione del proprio territorio e agisca: pizzo, usura, corruzione della politica, mafia devota che offre soldi per le feste popolari”.

Il Vescovo di Acerra, monsignor Antonio Riboldi:

“I cristiani al Sud devono svegliarsi. (…) Bisogna tagliare i ponti, anche quelli tra le nostre chiese e la cultura mafiosa, che spesso dimostra di essere devota”.

Grande è il ruolo e grande è la responsabilità della Chiesa cattolica. Un fatto di cronaca che fa riflettere (dal quotidiano “calabria ora” del 21 agosto 2010, p. 12):

“Abolite due soste, la statua non passa da casa dei clan”.

“Sotto osservazione delle forze dell’ordine, la processione che tutti gli anni si svolge il 16 agosto a Palmi in onore a San Rocco. L’ufficio di Polizia palmese, infatti, avrebbe ‘consigliato’ al Comitato organizzatore, di evitare due delle fermate previste durante il lungo tragitto che compie la statua del santo per le vie della città”.

Le due fermate sconsigliate avrebbero dovuto aver luogo davanti la casa di due note cosche cittadine. “L’invito della polizia è stato accolto dagli organizzatori che, dopo più di 50 anni, hanno mantenuto intatto il percorso della processione, ma hanno abolito le due soste considerate dalle forze dell’ordine ‘inopportune’ ”.

Quelle due soste, “segno di ‘riverenza’ verso le potenti famiglie di mafia”, dovevano essere sconsigliate dalla Polizia, o dal Vescovo e dal Parroco?

Come non ricordare la Madonna dei Polsi ha due devozioni: una popolare e cattolica, e un’altra elitaria e da setta, ed è quella della ’ndrangheta. Il santuario è rappresentato quel mix di simbologia sacra e di potere nero, occulto, invasivo, che ha reso i clan calabresi tra i più forti e temuti del mondo. Votare, dirsi chi è Il Crimine, e cioè il boss dei boss, mentre intorno si accendono candele sacre da parte dei fedeli serve a sgarristi e picciotti anche a sentirsi “parte di una comunità” più estesa, più vasta. Il rito pagano di mischia al rito religioso e c’è la sensazione, e la tentazione, di avvertire come “divino” un potere che ha a che fare con omicidi, con estorsioni, con sequestri di persona, con il traffico della droga, con l’ecomafia che avvelena la terra dove cammineranno anche i loro figli.

Come ai “Polsi” si decidono i destini degli uomini, le carriere, chi è bravo e chi deve modificare il suo atteggiamento (la pena per chi esagera con l’indipendenza è la morte), così a Milano, nel circolo intitolato a Falcone e Borsellino, si sono visti i boss votare il loro Capo, quello che incarna per tutti al Nord il volere della ’ndrangheta.

«Non si smette mai di essere preti. Né mafiosi», ripeteva spesso Giovanni Falcone, sottolineando come lo specifico criminale che da un secolo e mezzo marchia a fuoco la vita, l’economia e la società di quattro regioni italiane sia in realtà una religione, che dal cattolicesimo prende in prestito i riti, il linguaggio, l’espressività liturgica.

E tuttavia, il legame non è fatto solo di simboli: Cosa Nostra si richiama ai Beati Paoli, la camorra alla Guarduna, confraternita esistente a Toledo sin dal XV secolo, la ‘ndrangheta ai tre arcangeli della tradizione. No, c’è di più, qualcosa che va oltre la sintassi dell’esteriorità, nel rapporto, mai investigato a sufficienza, tra Chiesa e grandi organizzazioni criminali.

Nel suo documentatissimo «I preti e i mafiosi», Isaia Sales, tra i più lucidi studiosi dei fenomeni mafiosi, docente di Storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno d’Italia al Suor Orsola Benincasa di Napoli, mette subito le cose in chiaro. Innanzitutto, sostiene Sales, c’è una gravissima condotta omissiva, addebitabile ad un «giusnaturalismo di sangue», che la cultura cattolica mutua da quella mafiosa (e viceversa: l’esistenza di altre Giustizie oltre a quella dei Tribunali) in opposizione al positivismo del diritto statuale.

La carica antistatuale della Chiesa e quella delle organizzazioni criminali hanno finito spesso col convergere. Al punto che dal martirologio cristiano sono espunti gli eroismi, in nome della fede e di un credo fondato sull’anti-violenza (l’esatto opposto, in teoria, dell’ethos mafioso), di decine di preti uccisi dalle mafie, di cui poco o punto si sa. Solo recentemente, con i sacrifici di don Pino Puglisi, fatto ammazzare come un cane a Brancaccio dai fratelli Graviano, e di don Peppe Diana, eliminato a Casal di Principe dai sicari di Sandokan, è emersa una coscienza nuova, tuttavia confinata a pochi casi isolati di preti – coraggio. Le eccezioni. E così, nel paese degli atei devoti, l’archetipo mafioso è quello del fervido credente criminale efferato, che si fa il segno della croce prima di ordinare un omicidio o di premere il grilletto: i covi dei superlatitanti sono sempre zeppi di immagini e testi sacri, dalla Bibbia al Vangelo, i boss vengono maritati in chiesa, confessati, comunicati e, se muoiono nel loro letto, ricevono l’estrema unzione.

 

III° PECCATO ORIGINALE :  la Meridionalizzazione della burocrazia italiana

Ma quando sorge, allora, il problema della « meridionalizzazione » della burocrazia italiana e perché è divenuto ” Il Problema ” ?

Da suddito il cittadino sta progressivamente diventando un soggetto attivo.

Ma come mai nei decenni passati questa cultura ha avuto difficoltà ad imporsi ?

Perché lo Stato ha assunto un atteggiamento autoritario nei confronti di chi deve servire ?

E la burocrazia perché ha sempre fatto pagare così care le informazioni di cui era in possesso ?

Nel 1861 i travet “piemontesi” del Regno d’Italia erano tremila contro i tre milioni attuali.

Parlavano prevalentemente francese ed erano i più efficienti e meglio preparati d’Europa, risultando dotati di specifiche competenze tecniche nei gradi più elevati.

Antonio Gramsci  ha osservato: « per il modo come l’Italia ha raggiunto la sua unità, per le differenze esistenti tra la costituzione sociale dell’Italia settentrionale e quella dell’Italia meridionalela composizione della burocrazia ha in Italia una particolare importanza.

Nel 1870, subito dopo l’unificazione del regno, gli alti funzionari, gli alti ufficiali erano piemontesi e la massa dei dipendenti dello Stato era stata caoticamente reclutata nelle varie regioni.

Questa composi­zione della burocrazia non tardò però a modificarsi profondamente. Nell’Italia settentrionale, a misura che l’Italia si sviluppava, gli cle­menti della piccola borghesia trovavano nelle aziende private impie­ghi preferibili a quelli offerti dallo Stato ed in breve le file della buro­crazia divennero un monopolio o quasi dei piccoli borghesi meridio­nali.

Grazie a questo processo, le classi medie ed i ceti intellettuali del Mezzogiorno furono sottratti all’influenza dei clericali, contrari all’unità del regno e antiprogressisti per natura, e passarono sotto il dominio della massoneria, che è stata per qualche decennio il solo partito organizzato della nuova borghesia italiana unitaria e perciò ostile al Vaticano, progressista e perciò anticlericale. L’assorbimento degli elementi più attivi del mezzogiorno allontanò la minaccia di una nuova divisione dell’Italia, minaccia particolarmente grave negli anni della miseria, della fame e rafforzò alquanto le basi del­l’Unità »

Filippo Turati, illustrando il programma di azione socialista, alla Camera, in occasione della presentazione dell’ultimo governo presieduto da Giolitti, il 26 giugno 1920, affermava: « la questione degli uffici e della burocrazia è una cosa sola con la vessata questione del Mezzogiorno. Il Mezzogiorno è il gran vivaio, e quasi il solo vivaio, di tutta la burocrazia italiana, di tutti i gradi, dal capodivisione ora­mai alla guardia carceraria.

La difficoltà del problema burocratico è là; si tratta, al lavoro parassitario, malsano, turbolento, di sostituire, in Italia, la possibilità del lavoro produttivo … Nell’Alta Italia, regio­ne industriale, si può dire che non vi sia un solo alunno dei nostri politecnici, delle nostre scuole superiori, ed anche delle medie, che aspiri ad un ufficio di Stato. Questi uffici sono diventati uffici di collo­camento per quella che chiamerei — se la frase non fosse troppo barbina — la mano d’opera cerebrale disoccupata, inadatta a qualun­que utile servizio ».

Lo Jemolo osservava, solo un anno prima: « l’amministrazione dello Stato è assediata dalle richieste importune dei moltissimi pic­coli borghesi incapaci di trovare un proficuo lavoro nell’ambito professionale, e sprovvisti dell’energia necessaria per indossare il camiciotto dell’operaio; … circa una metà d’Italia non dà più alcun concorrente alle amministrazioni centrali e ne dà scarsissimi a quelle decentrate, onde soltanto nell’Italia meridionale si possono ormai reclutare i funzionari dello Stato »

E recentemente uno storico ha notato: « l’ampliamento dell’or­ganico amministrativo, e la « meridionalizzazione » delle sue compo­nenti, che prenderà corpo con Crispi e si svilupperà con Giolitti, non sarà soltanto il frutto di un incremento dell’intervento statale, ma anche di un tentativo di conferire più ampie basi sociali all’ulteriore rafforzamento dello Stato, e in particolare del potere esecutivo »

 Nitti facendo un’analisi più pacata, definiva una « immo­rale leggenda » quella che descriveva « l’Italia meridionale vivente degli impieghi »; ed affermava che, al contrario, nell’amministra­zione « la politica, buona o cattiva che sia, è affidata, per quanto riguarda il personale superiore, quasi interamente ai settentrionali. Anzi, Nitti fornisce una interessante testimonianza della situa­zione al momento dell’unificazione: « una vera grande burocrazia (almeno per quanto riguarda il numero) esisteva soprattutto nel Piemonte. Nell’Italia meridionale era grandissimo numero di impie­gati, ma così poveramente retribuiti, in condizioni così precarie, che non vi era da formare da essi una vera amministrazione. Inoltre, se l’amministrazione finanziaria e, fino ad un certo punto, la magi­stratura, erano buone, il resto valeva poco. Il grandissimo numero di impiegati del Piemonte doveva formare il nucleo: dovevano se­guire per necessità di cose la Toscana, la Lombardia, la Liguria, il Veneto e le regioni dell’Italia centrale ».

La burocrazia borbonica o rimaneva sospettosa e diffidente; op­pure era stretta da ogni parte dalle burocrazie degli altri Stati; o era cacciata come sospetta sotto la pressione di turbe di politicanti che chiedevano i loro posti.

La situazione descritta da Nitti era, quindi, nel senso della preminenza della élite burocratica di formazione settentrionale. I dati rilevati dal Nitti mostrano come la regione di nascita di circa il 5°% della burocrazia fosse il Nord. Il Sud e le isole davano invece circa il 25% dei quadri burocratici.

Ora, andando avanti nel tempo (1954, 1961, 1962, 1965, 1968), si può notare un cambiamento radicale nella composizione territoriale della burocrazia superiore:

       mentre la quota dei dipendenti superiori nati nel centro ri­mane sostanzialmente stabile intorno al 27%;

      la quota dei dipendenti superiori nata nel Nord scende al 13% circa alla metà del secolo e continua a scendere successivamente, giungendo fino al 10%;

     la quota dei burocrati dei livelli superiori nati nel meridione (Mezzogiorno continentale più isole) passa dal 23% al 56% fino al 1954 e continua a crescere successivamente fino a raggiungere il 62-65%

Per una valutazione complessiva di questa evoluzione, va rile­vato che la percentuale della popolazione, nei tre comparti, rimane sostanzialmente stabile dal 1900 al 1968. L’unica variazione che può notarsi è quella, relativa al secondo dopoguerra, consistente in un aumento di un punto percentuale della popolazione posta al Nord e di una corrispondente diminuzione al Sud. Ciò che rende ancor più vistoso il processo di «meridionalizzazione » della burocrazia.

Da questi dati si possono trarre le seguenti conclusioni:

     che la componente del personale amministrativo proveniente dal centro rimane stabile nel tempo;

     che vi è una forte desettentrionalizzazione del personale am­ministrativo direttivo;

      che vi è una forte meridionalizzazione dei quadri direttivi;

      infine, che le due ultime tendenze non accennano a fermarsi.

I dati appena illustrati consentono, dunque, di confermare la connessione rilevata da Turati tra i due più importanti problemi che si sono posti alla dirigenza politica italiana fin dagli inizi del secolo: questione amministrativa e questione meridionale.

IV°PECCATO ORIGINALE:  l’alto prezzo pagato dall’ Italia per essersi scelleratamente alleata con Berlino, avere perso la guerra, e riscattare in ogni modo gli aiuti del Piano Marshall.

L’Italia uscì dalla seconda guerra mondiale povera, distrutta, semi analfabeta, ma ricca di tre doti immense: la Costituzione del 1948, lo Stato democratico a Parlamento sovrano, una propria moneta e il Piano marshall.

Complessivamente l’Italia riceve dal governo americano 1,35 miliardi di dollari, di cui lo 0,79% è rappresentato da donazioni di beni, il resto da prestiti. Le merci maggiormente importate grazie al Piano Marshall sono cotone (27,67%), cereali (17,54%), prodotti petroliferi (15,75%), carbone ( 13%) e macchinario (15,55%).  Complessivamente, la percentuale della merce giunta attraverso il Piano Marshall rispetto al totale delle importazioni tra aprile del 1948 e dicembre 1951 è del 18%. Invece, considerando solo il lasso di tempo compreso fino al 1950, i beni ERP costituiscono più di un terzo del totale delle importazioni italiane. Fino al 1949 gli imprenditori italiani si servono del Piano Marshall unicamente per importare materie prime, causa alcuni intoppi burocratici, la lenta ripresa del mercato e anche una certa diffidenza della categoria imprenditoriale stessa nei confronti del piano. Non appena le difficoltà nel reperimento di materie prime hanno fine, però, cresce la fiducia nella ripresa del mercato interno e internazionale e con essa anche la propensione dell’imprenditoria italiana a investire nell’ammodernamento dell’industria attraverso i fondi Marshall. I settori industriali che beneficiano maggiormente delle importazioni di macchinario americano sono il siderurgico, l’elettrico e il meccanico. In particolare la FIAT, una delle prime a intuire la grande chance di rinnovamento offerta dal Piano, grazie al viaggio a Washington del suo amministratore delegato Valletta ottiene dall’ECA quasi 30 miliardi di dollari per rifornirsi di tecnologia americana d’avanguardia. Altre grandi aziende che sfruttano immediatamente i finanziamenti ERP per rinnovare il proprio apparato produttivo sono le acciaierie di Cornigliano e l’Edison, mentre le più lungimiranti tra le medio-piccole sono la Necchi e la Piaggio, che grazie alla tecnologia americana si vedono in grado di mettere in campo una più elevata produttività e un minor impiego di manodopera. La Necchi, per esempio, riesce a ridurre i tempi di fabbricazione di una macchina da scrivere del 40%.

Il Sorpasso Regia di Dino Risi (1962)  Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant.
Il Sorpasso
Regia di Dino Risi (1962)
Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant.

Nell’arco di meno di trent’anni, questa penisola priva di grandi risorse, senza petrolio, finanziariamente arretrata, diventa la settima potenza economica del mondo, prima fra tutti per risparmio delle famiglie.

Fu il ‘miracolo italiano’ scaturito dalle quattro immense doti di cui sopra.

Nel 1960, una giuria internazionale riunita dal “Financial Times” assegnava alla lira l’oscar delle monete per il 1959. La lira veniva dichiarata una delle valute più forti al mondo.

Nel 1987, quando il Pil italiano aumentò del 18% grazie a quello che venne definito dal The Economist un «gioco di prestigio statistico», l’Italia superò per Prodotto Interno Lordo la Gran Bretagna divenendo la quinta nazione più ricca dell’Occidente, dopo gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Germania e la Francia. Tuttavia il cosiddetto «sorpasso» venne presto annullato dall’immediata risalita del reddito pro-capite britannico e soprattutto da una sterlina forte.

Così The Economist nell’aprile del 1988 esaltava i nostri condottieri industriali nel mondo portando a paradigma i quattro volti più noti mediaticamente di allora….

The four horsemen of the Italian apocalypse. (Gianni Agnelli, Raul Gardini, Carlo De Benedetti, Silvio Berlusconi)

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           The Economist (US)

Four Italians-Gianni Agnelli, Raul Gardini, Carlo De Benedetti and Silvio Berlusconi-led a charge to create a new type of European conglomerate fit for the truly common market promised for 1992. They went over the top. Now they are beginning to retrench into something more sensible

BETWEEN mid-1984 and April 1987, the capitalisation of companies quoted on the Milan bourse rose by 160 trillion lire ($130 billion). The ambitions of the four horsemen grew proportionately. Kings in their carefully controlled domestic markets, where old-cronyism effectively prevented them from attacking each other, they had little option but to look abroad for growth. Their eyes fixed first on neighbouring France, before looking further into Europe. They bought up a rag-bag of businesses, moving with the strategic precision of a blunderbuss.

* Mr Carlo De Benedetti’s Olivetti is Europe’s biggest office-automation group, after having absorbed Triumph Adler of West Germany in 1986. Mr De Benedetti’s personal holding companies also bought up French car-component makers, food companies, banks and a stake in Yves Saint Laurent, a French fashion house.

* Mr Silvio Berlusconi’s La Cinq was France’s first commercial television channel; he has also made a foray into the West German advertising and television markets with a local cable-TV company, Telefunf.

* Mr Raul Gardini’s Ferruzzi group dominates the West European market for starch, sugar and oilseed. Through acquisitions, he built up a family of companies-Montedison, Himont and Ausimont-into world leaders in fluorochemicals …

Il 15 maggio 1991 il ministro degli Esteri Gianni De Michelis rese noto che, secondo il rapporto messo a punto dalla società Business International (società del gruppo dell’Economist, fra i più autorevoli periodici finanziari ed economici del mondo) e inviato da De Michelis anche al presidente del Consiglio Giulio Andreotti, l’Italia era diventata la quarta potenza industriale del mondo, davanti alla Francia e alla Gran Bretagna.Secondo questo rapporto del Business International, nel’90 l’Italia era diventata la quarta nazione più industrializzata del mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Germania. Il pil a prezzi correnti del Bel Paese (il prodotto interno lordo, cioè la somma dei beni e servizi finali prodotti sul territorio), infatti, era arrivato a 1.268 miliardi di dollari, contro i 1.209 della Francia e i 1.087 della Gran Bretagna. La stima venne poi corretta al ribasso per via del forte disavanzo dei conti pubblici italiani, e il PIL italiano subì un contro-sorpassa da parte sia della Francia e sia del Regno Unito durante gli anni novanta, durante i quali vi fu una stagnazione dell’economia italiana che crebbe in media solo dell’1,23% annuo contro la media europea del 2,28%.

Oggi quelle doti sono state distrutte, e il Paese è sprofondato nella vergogna dei PIIGS, i ‘maiali’ d’Europa. I Trattati europei, in particolare quelli associati all’Eurozona, ci hanno tolto la sovranità costituzionale, quella parlamentare e quella monetaria. Ci hanno tolto tutto.

Il muro di Berlino che fino al 9 novembre 1989 ci aveva mantenuto strategici geopoliticamente sia dal punto di vista militare sia come vetrina del benessere capitalista nel Paese col Partito Comunista più forte d’Europa non ci protesse  più e i nostri creditori che sembravano aver dimenticato il nostro debito ci presentarono il conto con gli interessi noi abbiamo pagato stiamo pagando sia in valuta intellettuale (c.d.“brain drain”),sia in assets strategici collocati sul mercato a prezzi di saldo per chiusura esercizio.

La crisi che oggi sta distruggendo l’economia e i diritti delle famiglie e delle aziende italiane come mai dal 1945 a oggi, viene da questo.

made-in-italy-sale                  CADUTO IL MURO DI BERLINO: CHE IL SACCHEGGIO  ABBIA INIZIO

L’Italia ha pressoché perduto quasi tutte le sue grandi imprese strategiche, le unicche in grado di condurre la ricerca scientifica nei settori ad alta intensità di capitale che fanno la ricchezza dei paesi avanzati: in alcuni settori industriali nei quali il nostro Paese era stato fra i primi al mondo, dall’informatica alla chimica, dall’aeronautica civile all’elettronica di consumo, all’high tech. E non è un caso che l’Italia sia oggi pressoché assente dai settori della nuova rivoluzione tecnologica, quella telematica.

Tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, nel giro di poco tempo i vertici della polizia e dei servizi segreti, e il giudice Falcone, gli uni all’insaputa degli altri, si recano ufficialmente dal Ministro dell’Interno Vincenzo Scotti per allarmarlo su notizie di un complotto internazionale tra la “lobby delle lobbies” internazionale, una parte della politica italiana, mafia e camorra nostrane, e mafia russa/ex PCUS, il cui obbiettivo è quello di svendere una fetta d’Italia “allo straniero”, e approfittare di alcuni enormi serbatoi di capitali, primo tra tutti quello destinato alla TAV (circa 200.000 miliardi di vecchie lire tra “diretto” e “indotto” solo per la tratta “da Roma in giù”).

I servizi segreti “ci sono arrivati” attraverso informatori ed opera di “intelligence”, e avvisano che i complottisti all’interno dei partiti elimineranno i “nemici interni” per via giudiziaria, la polizia, in particolare lo SCO, verificando le “scatole cinesi” dei maggiori appalti e “arrivando sempre ai soliti gruppi societari”, Falcone investigando sui collegamenti romani e internazionali della mafia siciliana, prevedendo anche possibili attentati per destabilizzare il paese.

Scotti prima in modo informale, poi, nel marzo 1992, anche “ufficialmente”, allerta tutte le prefetture su tale pericolo, con una famosa circolare.

Falcone avvisa Scotti che alla fine di maggio chiuderà il cerchio delle proprie indagini incontrando un collega moscovita, e che a quel punto sarà in grado anche di smascherare coloro che stavano disperatamente tentando di “toglierselo di torno”.

Ma pochissimi giorni prima dell’incontro, casualmente, salta in aria.

DUE PASSI INDIETRO NELLA STORIA INDUSTRIALE POSTBELLICA

OLIVETTI 

Un’impresa che all’inizio del miracolo economico appare promettente se non rivoluzionaria, ma la cui storia si risolve in un sostanziale fallimento, è l’Olivetti. Già a metà degli anni cinquanta l’azienda avvia la diversificazione non solo nell’elettronica ma anche nei computer, in grande anticipo sui tempi, ponendo quindi l’Italia sulla frontiera più avanzata dello sviluppo tecnologico127: addirittura, fra il 1962 e il 1964 produce quello che può essere considerato il primo personal computer a livello mondiale, il «Programma 101». E tuttavia la famiglia Olivetti, che in quel periodo continua a controllare l’azienda, non è in grado di fornire le enormi quantità di denaro necessarie a mantenerla competitiva, in un settore ad alta intensità di investimenti come quello informatico. Difatti, già alla metà degli anni sessanta deve essere organizzato un «gruppo di salvataggio» coordinato da Mediobanca, che vende, nel 1968, la Divisione Elettronica dell’Olivetti alla nordamericana General Electric.

                                                                      Per approfondire su Olivetti, linka: http://wp.me/p2qWaW-IJ

ENI

Crimine e criminali” sono le parole con le quali Benito Li Vigni, siciliano classe 1935, collaboratore all’Eni ai tempi dell’epopea di Enrico Mattei, etichetta la politica italiana ma soprattutto la finanza (non solo italiana) dell’ultimo ventennio.

Nel video, della durata di nove minuti, Li Vigni risponde a due domande principali: la prima, inerente la figura di Enrico Mattei; la seconda parte, invece, è dedicata allo smantellamento dell’Eni e dell’Iri negli anni ’90.

“Mattei era un grande patriota e un grande imprenditore, e intuì che l’energia era necessaria all’Italia in quanto un paese distrutto dalla guerra, con un Pil che era la metà di quello del 1938. Quindi si oppose alla liquidazione dell’Agip quando venne nominato in quel ruolo: tutte le potenze vincitrici, Stati Uniti, Francia e Inghilterra, volevano la scomparsa dell’Agip per considerare l’Italia esclusivamente un mercato dove vendere il petrolio. Mattei disobbedì” afferma Li Vigni, e già qui lo spessore di Mattei, rispetto agli attuali “best seller” della politica italiana, proni ai voleri esteri e indifferenti a quelli nazionali, spicca con lucidità.

“Mattei potenziò l’Agip, realizzò dei pozzi in Val Padana, una rete di metanodotti, e poi al sud, in Basilicata e in Sicilia, dove l’ho conosciuto, e dove ha portato per la prima volta il lavoro e l’industria – ricorda Li Vigni – Ha posto l’Italia all’attenzione del mondo, ad esempio l’accordo che fece in Iran fu rivoluzionario: non era un accordo imperialistico tipico delle grandi compagnie americane, ma un accordo paritario. Gli utili dell’estrazione erano divisi metà a metà, poi l’Eni pagava le tasse in Iran: alla fine restava il 75% all’Iran e il 25% al paese importatore. Questo provocò una forte reazione delle Sette Sorelle. Ma Mattei non si fermò qui: offrì lo stesso trattamento ai paesi africani, e nel 1958 si rivolse all’Unione Sovietica, in piena guerra fredda, e anche questo scandalizzò. Ma il grezzo sovietico non veniva pagato, ma garantito coi prodotti industriali italiani, attraverso il lavoro creato dalla Finsider. In Africa appoggiò la rivoluzione algerina e coinvolse i francesi, e riuscì a spuntarla anche in Iraq dove avevamo delle concessioni dagli anni ’30, facendole revocare agli inglesi”.

De Gasperi fu convinto da Mattei a dare all’Eni, cioè allo Stato Imprenditore, la gestione dell’energia, perché era una necessità strategica nazionale” conclude Li Vigni.

E poi si apre l’oscuro capitolo della svendita del patrimonio pubblico negli anni ’90: purtroppo all’epoca internet non esisteva e alcune informazioni erano del tutto occultate al pubblico, oppure difficili da approfondire. Anche ora è così, ovviamente, pur se c’è una minoranza di cittadini in grado di comprendere cosa avvenne sul panfilo Britannia e chi furono i “killer” e i “mandanti” dell’economia nazionale. Ma essendo il tema identico a quello attuale, che anzi è indubbiamente più cupo e pericoloso, occorre ascoltare e studiare con altissima attenzione le parole di Li Vigni.

“Avevamo una crisi economica ed eravamo usciti dal Sistema Monetario Europeo, ma questo non giustificava l’abolizione del sistema che aveva garantito il Miracolo Economico. Quindi vi fu un attacco allo Stato imprenditore organizzato dalle grandi banche d’affari, che convinsero Ciampi e Amato a liberalizzare il settore pubblico. Mario Draghi, allora direttore generale del Ministero del Tesoro, spinse verso la privatizzazione. Venne distrutto lo Stato imprenditore, l’Eni da 130 mila dipendenti si ridusse a 30 mila, scaricando ai cittadini il costo di questa operazione”.

Li Vigni sembra soffrire come se la vicenda fosse ancora attuale, e usa pari pari le parole di Paolo Barnard: “Operazione veramente indegna, perché si sono chiuse attività che portavano profitti allo Stato come la Nuovo Pignone, la Lebole, la chimica di base. Si distrusse l’Eni. Il patrimonio immobiliare dell’Eni, che valeva mille miliardi di lire, è stato venduto a Goldman Sach’s per una lira (alza la mano e con l’indice indica “uno”, ndr). Si è commesso un crimine che secondo me doveva essere perseguito per legge, invece si è andato avanti: si è distrutto l’Iri, l’Imi, il sistema bancario italiano e financo la Banca d’Italia che non esiste più ed ora non abbiamo più un sistema di controllo finanziario”.

L’amarezza diventa sorriso ironico: “Naturalmente Draghi fu premiato e divenne presidente della Goldman Sach’s Europa… io non so se in un paese sia possibile un conflitto di interesse di questo genere. È rimasto a Goldman Sach’s Europa per due anni, poi è passato alla guida della Banca d’Italia, e quindi è alla guida della Bce, creando la situazione che stiamo vivendo”.

Perché non ci sono uomini politici che denunciano con le sue identiche parole quello che è avvenuto, chiediamo a Li Vigni? “Non abbiamo più la politica, è finita – è la risposta secca – Abbiamo l’oligarchia: nel 2005 è stata approvata una legge per impedire al cittadino di nominare i propri rappresentanti al Parlamento. Abbiamo una oligarchia di caste e di gruppi. La politica fa altre cose. Sappiamo quello che accade, le appropriazioni criminali che tolgono il danaro pubblico per finanziare cose diverse dalle scuole, la sanità, lo sviluppo, è un crimine. L’Italia è un paese oramai avviato verso una strada criminale. Il fatto che sui giovani che protestavano siano stati lanciati lacrimogeni dal Ministero di Giustizia fa capire che ci stiamo avviando verso una guerra tra le Istituzioni gestite in questo modo per certi motivi, e il Paese. Se si continua così arriveremo ad una strada senza uscita”.

“Mattei – conclude Li Vigni – non sognava una Italia così, ma un’altra Italia. Attenzione: abbiamo delle sentenze depositate che testimoniano come Mattei non sia stato ucciso dalle Sette Sorelle, ma da settori delle Istituzioni italiane che non volevano distruggere un uomo che operava nell’interesse del Paese”.

Il servizio della ZDF del 21/gen/2013 sul nostro Super Mario targato Goldman Sachs: si parte dal lontano 1992, crisi e svendita…per esempio dell’ENI. La ZDF intervista Benito Livigni.

MONTEDISON

La fusione tra Montecatini ed Edison, dalla quale nasce la Montedison, è considerata la più grande della storia industriale italiana. E tuttavia, anche il percorso di questa enorme conglomerata che al 1971 conta ben 180.000 dipendenti, sarà tutt’altro che in discesa. Il risanamento finanziario viene portato a termine nella prima metà degli anni settanta, e per quel che concerne la chimica si traduce in un’ulteriore razionalizzazione del settore, di cui è parte l’acquisizione nel 1972 della SNIA Viscosa, tuttavia il sopraggiungere della crisi petrolifera nel 1974 manda di nuovo i conti in rosso125. Il settore chimico non trova un suo assetto soddisfacente neppure dopo la joint venture fra Montedison ed ENI nel 1989, da cui nasce l’Enimont. L’affare Enimont si trascina per alcuni anni fra accuse reciproche e intrighi politico-affaristici, che vedono fra l’altro il pagamento di una «maxi» tangente a gran parte del sistema politico della prima Repubblica. Alla fine, nel 1997, le attività chimiche vengono scorporate quasi interamente e cedute alla compagnia petrolchimica anglo-olandese Shell: si chiude così la vicenda della chimica italiana, piegata dall’ingerenza del sistema politico e dalla scarsa lungimiranza dei suoi capitani.

MA TORNIAMO AL 23 MAGGIO 1992 QUANDO FALCONE MUORE ASSASSINATO NELL’ ESPLOSIONE DELLA SUA AUTO.

Nel 1993 Romano Prodi diventa Presidente dell’Iri dove dove dà inizio alle privatizzazioni di diverse società del gruppo post caduta muro di Berlino.

Prodi va Palazzo Chigi, Van Miert fece sapere che gli sarebbe piaciuto che, una volta affrontate le priorità del Paese, venisse chiuso anche il capitolo IRI.  Egli contava su Prodi, con il quale aveva lavorato «molto produttivamente» quando questi era stato presidente a via Veneto nel 1993: sebbene non escludesse una proroga del termine fissato per fine 1996 nell’accordo concluso con Andreatta tre anni prima ( Andreatta il mentore dell’attuale Presidente del Consiglio Enrico Letta), Van Miert richiamava gli «impegni chiari» presi dall’Italia, e volle ricordare minacciosamente il caso EFIM, quella liquidazione voluta da Amato, dalle cui conseguenze erano nate le condizioni iugulatorie dell’accordo del 1993. «Van Miert fa il duro solo con l’Italia», notò Pietro Armani, consigliere economico del leader repubblicano Ugo La Malfa e vicepresidente dell’ Iri per 11 anni fino al1991, sotto Pietro Sette e Romano Prodi ed in seguito responsabile per l’economia di Alleanza Nazionale. «Gli accordi fatti da governi tecnici senza vera rappresentanza vanno rinegoziati»: Armani si riferiva al governo Ciampi.

Sia Prodi che Ciampi tennero quindi fede alle promesse di Andreatta a Van Miert: entro il 1996 i debiti dell’IRI vennero abbattuti, grazie alla frettolosa vendita della STET al Tesoro. L’Istituto si trovava quindi nella condizione di liquidazione coatta, il cui commissario non era Michele Tedeschi, ma il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi.

D’altronde il presidente dell’IRI era riuscito ad allinearsi ancora prima del decreto-legge: il 19 novembre aveva scritto una lettera al «Corriere della Sera», nella quale si dichiarava d’accordo su tutto, dal prezzo delle azioni STET al travaso dei soldi contestuale dalle proprie casse a quelle dei creditori.

Nella stessa occasione replicando ad Alessandro Penati, Tedeschi ricordava che i debiti dell’ IRI erano scesi dai 33.000 miliardi di fine 1992, ai 21.900 di fine 1995: e ora con l’incasso di 14.350 dal Tesoro, l’indebitamento si avvicinava al rapporto di 1,2 sul patrimonio netto di circa 6000 miliardi, che poteva essere considerato fisiologico per un investitore privato, secondo i parametri della Commissione europea messi in auge da Brittan.

Per le rimanenti partecipazioni dell’IRI spa, Tedeschi valutava un incasso possibile di 27.500 miliardi, più 5000 di crediti finanziari:  «Risulterebbe quindi un margine ampio, oltre 10.000 miliardi, che conferma la solvibilità dell’IRI e la capacità di far fronte all’intero indebitamento».  Le considerazioni di Tedeschi confermavano che l’IRI non era mai stato in condizioni catastrofiche, che gli investimenti avevano creato un patrimonio in grado di coprire i debiti e di garantire una notevole plusvalenza allo Stato, al contrario di quanto una pluriennale campagna di stampa aveva fatto credere alla opinione pubblica.La crisi tutta finanziaria dell’IRI era da imputare ai ritardi e alle inadempienze dell’azionista Stato, il quale aveva sempre approvato i programmi in nome dello sviluppo dell’occupazione, ma non aveva dato i mezzi necessari. Ora da quella crisi era nata l’occasione del secolo per i privati: i governi tecnici degli anni Novanta, figli di Mani pulite, si erano mossi in modo opposto al Mussolini degli anni Trenta, il quale aveva tolto ai privati seguendo le indicazioni di quei veri grands commis dello Stato che furono Beneduce e Menichella.

Il ministero del Tesoro era divenuto una nuova superholding: si calcolava che le sue partecipazioni raggiungessero il valore aggre-gato di 400.000 miliardi, analogo alla capitalizzazione complessiva di Borsa.  Soppresso il ministero delle PPSS, a capo dell’impero delle partecipazioni dello Stato si trovava ora Mario Draghi. Secondo Sabino Cassese, nella direzione generale del Tesoro si era venuta a creare una centrale di guida più potente e con compiti ancora più vasti. Draghi, nato nel 1947, era figlio di un collaboratore di Donato Menichella; allievo di Federico Caffè, l’economista misteriosamente scomparso, e di Franco Modigliani al Massachusetts Institute of Technology (MIT), nel 1986 era stato nominato direttore esecutivo della Banca Mondiale; in quei cinque anni strinse rapporti di amicizia con Jack Rubin, uno dei capi della Goldman Sachs e fino alla primavera del 1999 ministro del Tesoro del presidente Clinton.

Nel 1990 Draghi tornò a Roma e ottenne una consulenza alla Banca d’Italia da Guido Carli, il quale lo raccomandò a Nobili per una posizione all’IRI.

Nel gennaio 1991 Carli riuscì a sistemare Draghi nell’incarico di direttore generale del ministero del Tesoro, nonostante che Andreotti e Cirino Pomicino sostenessero una candidatura diversa: così Draghi era divenuto uno degli uomini più potenti d’Italia, perché oltre che delle privatizzazioni, la direzione generale del Tesoro si occupa anche del debito pubblico. Membro di diritto dei consigli di amministrazione di IRI ed ENI, Draghi era anche membro del «G10 deputies», l’organismo di concertazione dei paesi più ricchi dell’OCSE, e del Comitato monetario europeo.

 ìIl 24 gennaio 1997 il Tesoro licenziò BiagioAgnes ed Ernesto Pascale e mise a capo di Telecom Italia, la società nata dalla fusione della STET con Telecom già SIP, Guido Rossi, in passato senatore del PCI e presidente della Consob.

 Divenuto presidente del Consiglio, D’Alema criticò il suo predecessore: «Romano Prodi pensava che, centrato l’obiettivo del risanamento e dell’ingresso nell’euro, il meccanismo dello sviluppo si sarebbe rimesso in moto da solo. Sbagliava. Il meccanismo è inceppato, e non ripartirà senza una coraggiosa azione pubblica…».

Per colpa della pura logica di cassa, perseguita dal Tesoro fin dal 1992, si era impedito che attraverso le dismissioni delle aziende pubbliche si facesse una nuova politica industriale. Così sul «Corriere della Sera» del marzo 1999 il giornalista economico Dario Di Vico notava che si stava ritornando a parlare di «interesse nazionale». Il fatto è che a un convegno della Fondazione Italianieuropei l’esponente dei DS Alfredo Reichlin aveva lanciato un grido d’allarme per il rischio che l’Italia, in una posizione di «internazionalizzazione passiva», diventasse preda e mai cacciatore.

Un tentativo effimero, questo di D’Alema, collegato a un ruolo decisionista di Palazzo Chigi subito contestato dalla grande stampa, e irriso da Francesco Cossiga che dichiarava di sentire nelle privatizzazioni «uno strano odore… un tanfo». E poco prima della caduta del governo D’Alema, lo stesso Cossiga aveva raccontato ai giornalisti una battuta di un «autorevole fiscalista di sinistra»: «Qual è la differenza che passa tra Mediobanca e Palazzo Chigi: entrambi sono merchant bank, solo che a Palazzo Chigi non si parla l’inglese».

Nonostante le nere previsioni, l’IRI scomparendo ha dimostrato di non essersi comportato così male nei suoi sessantasette anni di vita. Quando Giuliano Amato nel 1992 lo trasformò dall’oggi al domani in società per azioni, il vertice di via Veneto si riunì, racconta Enrico Micheli, all’epoca sottosegretario alla presidenza con Amato ma all’epoca direttore generale dell’Istituto: «Facemmo due conti e scoprimmo che, con 80.000 miliardi di debiti a fronte di un patrimonio esiguo, l’IRI era già fallita».

La stessa considerazione fece Enrico Cuccia: ma tutto era nato dalla fretta e dalla leggerezza con la quale il governo Amato aveva proceduto alla trasformazione. Non si è trattato di un «autentico miracolo», come definisce la vicenda infine conclusa Micheli al giornalista dell’«Unità» Pasquale Cascella, ma della realizzazione degli attivi patrimoniali dell’IRI, aziende che hanno portato un valore di 106.000 miliardi dal 1992 a oggi. Bisognerebbe semmai chiedersi se quel valore non avrebbe potuto, in circostanze diverse, essere maggiore: ma questa indagine sarà possibile forse solo con un rivolgimento politico.

Con orgoglio, il direttore generale dell’Istituto Pietro Ciucci afferma: «Il bilancio su ciò che l’IRI è stato non si può fare con l’atteggiamento del ragioniere dell’ultima ora… Abbiamo rimborsato tutti i debiti… La soddisfazione maggiore è un’eredità di grandi imprese che rappresentano il 35 per cento della capitalizzzazione di Borsa».

E il presidente di Autostrade Giancarlo Elia Valori considera che «il fatto che i risparmiatori italiani abbiano fatto e continuino a fare la coda per sottoscrivere le azioni partecipate dalla mano pubblica può voler dire che quelle aziende non erano insanabili odecotte come, con interessata malizia, si è cercato di far credere». Infatti, all’epoca, si fece una campagna martellante per invitare i piccoli risparmiatori ad acquistare azioni di quella che doveva diventare una public company (una società con capitale diffuso tra piccoli soci). I piccoli risparmiatori che in quegli anni cominciavano ad appassionarsi alla nuova lotteria nazionale della Borsa comprarono l’85%.

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 La liquidazione dell’IRI è avvenuta nei termini fissati dagli accordi fra il governo italiano e l’Unione europea: un percorso di sottomissione iniziato nel 1993 con l’intesa fra l’allora ministro degli Esteri Beniamino Andreatta e il commissario UE alla concorrenza Karel Van Miert.

Ridotto a fine 1997 il rapporto tra indebitamento finanziario e capitale netto al di sotto del parametro 1/1 previsto, il governo italiano avrebbe potuto con qualche espediente che in altri tempi non sarebbe mancato aggirare l’ostacolo costituito dalla sua presenza nel capitale dell’IRI come azionista unico: ma evidentemente il governo Prodi intendeva professare la sua assoluta lealtà al diktat di Bruxelles, al fine di entrare alla prima tornata nella moneta unica, obiettivo questo che precedeva qualsiasi interesse nazionale.

Seppur costretto nella veste di debitore coatto, l’IRI è riuscito a chiudere la sua posizione finanziaria con un sostanziale pareggio: dimostrazione che la crisi dell’Istituto era finanziaria, di eccessivo sviluppo in relazione ai mezzi propri, e insostenibile per un padrone indebitato lo Stato il quale tuttavia approvava i piani.

Secondo le analisi dell’istituto, lo Stato avrebbe versato 90.000 miliardi, e l’IRI ne restituisce 87.700, così che il saldo negativo sarebbe alla fine di 2300, ben lontano dalle previsioni di 20.000 a suo tempo avanzate. D’altronde l’analista Massimo Mucchetti, sull’ Espresso” pur contestando queste cifre, riconosce che considerando IRI, ENI ed ENEL, lo Stato si è trovò in tasca un attivo di 50.000 miliardi: una cifra macroeconomica, che comunque dimostra come la gestione della mano pubblica sia stata, senza considerare i benefici per il sistema-Paese, e dal solo punto di vista della soddisfazione finanziaria dell’azionista, cosa ben lontana da quelle descrizioni, sprezzanti e spesso anche infamanti, che costituiscono uno dei capitoli della «storia bugiarda» sull’Italia contemporanea.

Le privatizzazioni sono servite solamente a fare cassa velocemente con l’obiettivo di rientrare nei parametri di Maastricht; dunque il calcolo è stato nel breve-medio periodo, scandito da una tempistica, non interna, ma imposta dall’Unione Europea.

Negli altri paesi esse si sono accompagnate con dei piani strategici di tutela nazionale, mantenendo le aziende e i capitali in patria, ma ciò non è avvenuto in Italia, dove si è assistito a una vera e propria colonizzazione economico-industriale della quale non si nascondono neanche le velleità straniere.

Oggi dinanzi alla crisi economica si vuole rispondere con la stessa ricetta, si parla di cedere le partecipazioni statali che restano con l’intento di fare cassa, ma allo stesso tempo si salvano le banche.

Non sentite puzza di bruciato ?

Ciò che ha permesso negli anni settanta di superare l’Inghilterra come potenza economica e di resistere alla crisi di quel decennio, fu il modello IRI, la famosa terza via, che vedeva lo Stato partecipare con i privati nella vita industriale del paese. Dall’energia alla distribuzione, al chimico ai trasporti e ai generi alimentari, toccando in pratica tutti i settori vitali del paese, questo baricentro verrà a mancare improvvisamente e senza una sua riorganizzazione. Nell’era del neoliberismo, dove l’Unione Europea è liberale nella sua genesi costitutiva, in particolar modo dopo il crollo del muro di Berlino, notiamo che l’espansione del mercato globale trasforma le multinazionali nei nuovi attori di riferimento al posto degli Stati ed una loro marginalizzazione; gli Stati assumono sempre più un ruolo prettamente burocratico nell’attuazione delle politiche fiscali e di tutela desiderate.

I grandi potentati economici anglosassoni operano avendo alle spalle gli Stati di appartenenza: famoso il caso in cui il sistema di spionaggio Echelon è usato per agevolarele aziende americane, in quella nuova forma d’intelligence industriale ed economica, figlia per l’appunto dell’era del mercato globale.

United Boss Corporations
United Boss Corporations

L’Italia è deficitaria in questo più degli altri paesi?

Sembra che in verità all’Italia sia mancato quel gioco di squadra che altri paesi come Francia e Germania hanno saputo fare nel nome dell’interesse nazionale che in Italia è stato ed è fortemente trascurato dalla politica, se non addirittura del totale disinteresse per esso.

Il ruolo di potentato fu svolto proprio dall’IRI e da una classe politica venuta dalla guerra che seppe guardare con responsabilità a quello che fu motore dello sviluppo e del successivo boom economico.

La classe dirigente della seconda repubblica ha evidenziato incapacità nel proteggere e agevolare la produttività nazionale nel mercato globalizzato. Critiche arrivano anche dalla Corte dei conti: nel suo rapporto datato 2010 fa notare che dopo le privatizzazioni, le società hanno aumentato i profitti solamente grazie all’aumento delle tariffe, sfruttando le posizioni di mercato e senza aver operato alcuna vera innovazione e investimento.

In ultimo, l’annuale rapporto dei servizi segreti evidenzia come ci siano delle manovre straniere miranti all’acquisizione delle industrie strategiche come Finmeccanica, Ansaldo energia, Agusta Westland, Eni, in altre parole il settore difesa ed energia. La Francia è interessata a delle controllate di Finmeccanica tra cui la Selex e la efficientissima Waas. L’azienda leader a livello mondiale nel settore dei sistemi d’arma subacquei fa gola alla francese Thales con la quale fa parte del consorzio italo-francese Eurotorp, operante nel settore difesa subacquea con il 50% controllato da Waas e 24% e 26% per le francesi Thales e DCNS. Ansaldo energia è invece nelle mire della tedesca Siemens e della coreana Samsung. Non mancano inglesi e americani interessati ad Augusta Westland e a DRS, una controllata di Finmeccanica in America.

hanno un bel da fare  le  nostre Agenzie di Intelligence, quando le nostre personalità apicali straparlano in questo modo:

***Prima di chiudere questo capitolo un’ultima chicca amici lettori.

Nel gennaio 2006 la Parsons Transportation Group, società leader mondiale nella progettazione e costruzione dei ponti sospesi, si aggiudicata l’appalto per essere il Project Management Consultant, e cioè il soggetto che svolge l’attività di controllo per la costruzione a la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, per un importo a basa d’asta di 150 milioni di euro, l’aggiudicazione è avvenuta per 120 milioni di euro.

La Parsons Corporation di Pasadena, in California, nel 1985, acquistò la Chat T. Main Inc. che già a metà degli anni 1980 era in difficoltà per la cattiva gestione; dopodiché ha modificato il suo nome in Parsons Main Inc. nel mese di gennaio1992.

Ma cosa faceva e chi rappresentava la Chas. T. Main. Inc. ?

La Chas. T. Main Inc. era una società di ingegneria degli Stati Uniti. E ‘stata fondata nel 1893 dal titolare Charles T., un ingegnere di mulini tessile del New England.

Charles ritenendo meglio passare la mano a coloro che conoscevano meglio il settore migliore cedettela proprietà ai suoi ingegneri senior.  Oltre al tradizionale core business dedicato all’energia di acqua e vapore, Main presto si ampliò nel
nuovo campo dell’ ingegneria delle risorse idriche ed della generazione idroelettrica.

Nel 1949 ha iniziato a collaborare con la United States Atomic Energy Commission su progetti relativi al plutonio per reattori nucleari. L asua espansione veloce l’ha portata a diventare un giocatore di livello mondiale nel settore delle utilities, fornendo numerosi servizi di ingegneria di ampio respiro. Per esempio, a metà degli anni 1950 Charles T. Main è stata responsabile della costruzione di una centrale idroelettrica in Turchia (Sariyar Dam).

Sembrerebbe però che la Chase T. Main, ora Parsons Main, non sia semplicemente questo. Sembrerebbe legata a doppio filo con le Agenzie di Intelligence Usa: nelle vesti di società di consulenza il suo compito sarebbe di far scattare delle vere e proprie trappole debitorie nei Paesi del Terzo Mondo che rendano impossibile a quest’ultimi di ripagare i prorpi debiti, con conseguenze facilmente immaginabili.

                                       L’EURO : OPPORTUNITA’ O SCHIAVITU’ ?

Si segua questo percorso: viene creata una valuta che non è di alcuno Stato. Viene emessa da Banche Centrali direttamente nelle riserve dei mercati di capitali privati (banche, assicurazioni, fondi pensione privati, ecc.). Si uniscono 17 Stati sotto questa valuta, e li si priva delle loro precedenti valute nazionali. I 17 governi dovranno sempre batter cassa presso i mercati di cui sopra per ottenere la moneta con cui attuare la spesa pubblica, esattamente come un cittadino che fosse sempre costretto a indebitarsi con la finanziaria sotto casa per mantenere la famiglia. Ecco nata l’Eurozona. Così funziona la moneta Euro.

I debiti pubblici di questi Stati, precedentemente denominati in una valuta di loro proprietà, vanno ora ripagati in quella valuta ‘estera’, cioè di qualcun altro, come se all’improvviso l’intero debito degli USA fosse trasformato da Dollari in Yen. Ne consegue che alcune economie fra quei 17 Paesi si ritrovano schiacciate non da eccessivi debiti pubblici, ma da debiti pubblici divenuti eccessivi perché denominati di colpo in una valuta ‘straniera’.

Ogni prestito concesso dai mercati ai governi resi a rischio d’insolvenza dall’artificio sopra descritto alimenta un circolo vizioso di tassi che aumentano sempre, così come la finanziaria applica a quel cittadino già indebitato un tasso sempre più usuraio per ulteriori prestiti. E più aumentano i tassi, più i debiti sono insostenibili, e più sono insostenibili, più aumentano i tassi. Schiacciati da questo paradosso, i governi in oggetto hanno una sola scelta: usare tagli alla spesa e una tassazione soffocante per ripianare quei debiti denominati in quella moneta ‘estera’, cioè l’Euro. Di conseguenza il risparmio di cittadini e aziende si prosciuga, calano i consumi, da cui precipitano i profitti, da cui derivano tagli di salari e occupazione, con ulteriori crolli dei consumi, che deflazionano l’economia, cala così il Pil, da cui minori gettiti fiscali, e ciò peggiora il debito, ma questo preoccupa i mercati che aumentano i tassi, che… È una spirale distruttiva senza fine.

Io sono a favore dell’Europa. Secondo me l’idea dell’Europa è fantastica. Nel senso che noi ci siamo trucidati a vicenda per 2000 anni e adesso invece siamo in pace. In passato una crisi tipo questa sarebbe sfociata in un conflitto, ce lo dice la storia. Quindi sicuramente questo l’Europa ce l’ha dato, ci ha dato un’area di pace. Però l’Europa va fatta nel modo giusto, come avevano pensato i famosi padri fondatori dell’Europa. È un processo lunghissimo. Immaginiamo che noi nel giro di 50 anni riusciamo a risolvere i problemi culturali, le tensioni politiche, i risentimenti e via dicendo, di 2000 anni di sangue in Europa. È impossibile. Allora bisogna avere pazienza e non manipolare questa Europa.

Per usare le parole del finanziere Soros: «l’Unione Europea doveva essere un’associazione volontaria basata sui principi della società aperta in cui io credo. E invece è in crisi profonda perché sta diventando una relazione tra debitori e creditori, dove i creditori dettano le regole e le politiche, strangolando i paesi creditori». Una degenerazione, che secondo Soros ha colpito duramente l’Italia, «la cui economia è forte e funziona bene – commenta –, per certi aspetti meglio di quella tedesca. Ma gli italiani, che individualmente sono ricchi o ex-ricchi, tendono a non pagare le tasse e così le casse dello Stato sono sempre vuote» prosegue Soros: La crisi, a fronte di un’Italia oggettivamente «non più padrona del proprio destino», secondo il magnate non è arrivata al capitolo finale, ma va gestita a livello europeo, «modificando i trattati costitutivi dell’Unione, che sono inadeguati. A fianco della Bce, l’autorità monetaria che con Mario Draghi sta facendo tutto il possibile, manca un’autorità fiscale e di bilancio che andrebbe istituita».

George Soros
George Soros

Il futuro dell’Europa è nelle mani della Germania, prosegue George Soros, che invoca una scelta definitiva del Paese tedesco nel proseguire o interrompere l’integrazione europea.

Attento osservatore delle dinamiche politiche, il magnate ha finanziato nei mesi scorsi attraverso Open Society un attento studio di Demos su Beppe Grillo e l’ascesa del populismo in Italia e in Europa.

La situazione – profetizza in un articolo scritto per il think tank Project Syndacate si sta rapidamente deteriorando e a lungo termine diventerà insostenibile. Una disintegrazione disordinata, con conseguenti reciproche recriminazioni e rivendicazioni instabili, lascerebbe Europa in una situazione peggiore di quando ha intrapreso il coraggioso esperimento di unificazione”.

LA CAUSA DEI MALI EUROPEI: LA BCE
Per Soros, le cause della crisi che vive il Vecchio Continente non possono essere comprese senza riconoscere il difetto fatale dell’euro. Con la creazione di una banca centrale indipendente, la BCE, i Paesi membri si sono indebitati in una valuta che non controllano.
I creditori rischiano di perdere grandi somme qualora uno Stato membro dovesse uscire dall’unione monetaria, ma per evitare ciò i debitori sono sottoposti a politiche che aggravano la loro depressione, aumentano il loro debito, e perpetuano la loro posizione subordinata. Di conseguenza, la crisi ora minaccia di distruggere la stessa Ue. Sarebbe una tragedia di proporzioni storiche che per il magnate di origine ungherese “solo la leadership tedesca può prevenire”.

I PASSI VERSO IL BARATRO
In un primo momento, sia le autorità sia gli operatori di mercato hanno trattato tutti i titoli di Stato dell’Eurozona come se fossero senza rischi, creando un incentivo perverso per le banche a caricarsi i bond più deboli. Quando la crisi greca ha sollevato lo spettro del default, i mercati finanziari hanno reagito con una vendetta, relegando tutti i membri della zona euro molto indebitati – tra cui l’Italia – allo stato di un paese del Terzo Mondo sovraccarico di una valuta estera. In seguito, i paesi membri molto indebitati sono stati trattati come se fossero gli unici responsabili delle loro disgrazie, mentre il difetto strutturale dell’euro non è stato corretto.

LA SOLUZIONE: GLI EUROBOND
Una volta che l’analisi è chiara, la soluzione – commenta Soros – si suggerisce da sola e ha un nome: Eurobond.
Se tutti i Paesi che rispettano i vincoli di bilancio del Fiscal compact fossero autorizzati a convertire il loro intero stock di debito pubblico in Eurobond, l’impatto positivo sarebbe quasi miracoloso, sottolinea il magnate.
Il pericolo di default scomparirebbe, così come i premi di rischio. Anche i bilanci bancari e quelli dei paesi indebitati riceverebbero un impulso immediato.

IL CASO DELL’ITALIA
L’Italia, per esempio, risparmierebbe fino al 4% del suo Pil, il suo bilancio si muoverebbe verso l’attivo, e lo stimolo fiscale potrebbe sostituire l’austerità. Come risultato, la sua economia crescerebbe e il suo rapporto debito/Pil scenderebbe. La maggior parte dei problemi apparentemente irrisolvibili svanirebbero nel nulla. Sarebbe stato – per Soros – come svegliarsi da un incubo.

ATTENZIONE A CHIAMARLA PANACEA
Gli Eurobond, però, – tiene a precisare Soros – non sono una panacea. Di certo non reggono per lui le paure tedesche di un declassamento del rating, anzi, ciò renderebbe i nuovi titoli europei comparabili con quelli americani, britannici o giapponesi.
Non bisogna però abbandonare la strada delle riforme strutturali intraprese, perché – ammonisce il magnate – il gap di competitività tra i paesi del nord e sud dell’Europa esiste e va affrontato.

LO SPARTIACQUE DELLE ELEZIONI
Quale che sia il proprio reale orientamento, la cancelliera tedesca Angela Merkel – finora ostile agli Eurobond per motivi di consenso (e di disciplina protestante) – non lo manifesterà prima delle prossime elezioni politiche che si terranno in Germania a settembre.
Tuttavia – aggiunge Soros – i tedeschi dovranno decidere in fretta cosa fare: se è vero che hanno tutto il diritto di rinunciare agli Eurobond, “non possono pensare di bloccarli condannando gli altri Paesi dell’Eurozona”, come nel caso della Grecia o di Cipro, “alla miseria“. In tal caso dovrebbero decidere di essere loro a lasciare la moneta unica, ma per Soros non lo faranno.

L’INSOSTENIBILE CONVENIENZA DELL’EURO
Anche se ora un referendum anti-euro stravincerebbe in Germania, non si tengono conto delle conseguenze che ciò potrebbe avere sull’economia del Paese.
Paradossalmente, un’uscita dalla moneta unica costerebbe molto più alla Germania, che non ai paesi indebitati.

La ragione per Soros è semplice. Dal momento che tutto il debito accumulato è in euro, se la Germania lo lasciasse l’euro si deprezzerebbe. I paesi debitori ritroverebbero così la loro competitività, il loro debito diminuirebbe in termini reali e, se emettessero Eurobond la minaccia di default scomparirebbe. Il loro debito sarebbe improvvisamente diventato sostenibile.
Allo stesso tempo, la maggior parte dell’onere dell’aggiustamento cadrebbe sui paesi che hanno lasciato l’euro. Le loro esportazioni diventerebbero meno competitive e incontrerebbero la pesante concorrenza dall’Eurozona nei loro mercati interni.

  • A rafforzamento di queste tesi intervengono autorevoli commentatori tedeschi 

1.      Wolfgang Münchausu Der Spiegel di mercoledì 13 giugno 2012 ci ricorda ancora una volta quanto la Germania avrebbe da perdere dalla fine dell’Euro. La Germania è davvero ricattabile e i paesi del sud Europa ne sono consapevoli?

Un’uscita dell’Italia farebbe molto male alla zona Euro.

Con un’uscita dall’Euro e un taglio del debito, la crisi interna italiana sarebbe bruscamente interrotta. La nostra invece sarebbe appena iniziata. La grande maggioranza delle banche europee sarebbe a un passo dal collasso. I debiti tedeschi crescerebbero molto rapidamente, perchè si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e si dovrebbero coprire le centinaia di miliardi di Euro di perdite legate al sistema Target -2. E chi pensa che fra i paesi europei non ci sarebbero profonde divergenze, allora non riesce a capire quello che sta succedendo in una crisi così profonda.

Un’uscita italiana danneggerebbe probabilmente molto piu’ noi che l’Italia stessa – e questo sicuramente indebolisce la posizione tedesca nel negoziato. Non riesco proprio ad immaginare chi in Germania, a parte alcuni funzionari pubblici o degli economisti in pensione, possa avere interesse al collasso della moneta unica.

            2.   Dello stesso parere Heiner Flassbeck, grande economista tedesco, intervistato wallstreetjournal.de,

 Piu’ ci penso, e piu’ sono convinto che la soluzione potrebbe essere: qualche paese del sud Europa forma un’alleanza, possibilmente con Francia e Italia, e dice: usciamo tutti insieme. E allora potrebbe funzionare.

 Bisogna naturalmente accordarsi su un tasso di cambio piu’ basso nei confronti dell’Euro. In questa variante si potranno trovare facilmente dei sostituti per i prodotti tedeschi. Invece delle auto tedesche, si potrebbero comprare quelle francesi, perchè il loro prezzo non salirebbe. Oppure si potrebbero comprare le auto italiane. Si potrebbe semplicemente ricominciare a comprare da questi paesi quello che fino ad ora si comprava in Germania. I costi da sopportare in quei paesi non sarebbero poi cosi’ grandiI costi maggiori invece sarebbero per la Germania. In poco tempo la metà dei suoi mercati di sbocco scomparirebbe e la sua economia collasserebbe. In Baden-Württemberg la metà delle fabbriche chiuderebbero. E’ di questo scenario che stiamo parlando.

Guardate l’illuminante intervista a Ulrike Herrmann, corrispondente economica per il quotidiano “Tageszeitung”,

MA COME ERA L’ITALIA DELLA LIRA E COSA SAREBBE L’EURO DEL SUD ?

L’Italia della Lira era nel 2000 la prima in Europa per produzione industriale, oggi siamo fra gli ultimi. Nel 2000 la Germania era ultima in Europa per produzione industriale, oggi è prima. Analisi in calce.

 Mari Monti révèle son vraie mandat dans un moment de défaillance……..


IL GRANDE BLUFF: The Beijing Consensus

La Cina ? : è un' Isola !
La Cina ? : è un’ Isola !

Come nel gioco degli specchi il problema lo hanno creato gli Occidentali o meglio ancora i Boss delle loro multinazionali lasciati liberi dalla politica di agire solo nell’interesse dei loro azionisti nella migliore delle ipotesi e nella peggiore solo nell’interesse dei loro ricchi emolumenti e bonus di fine anno.
Peggio ancora in molti Paesi Occidentali i Politici che ne hanno preso le redini sono stati direttamente finanziati ed eterodiretti da queste gigantesche e potentissime corporations a scapito del bene dei cittadini, della collettività e pertanto di tutta la Nazione.
La differenza tra un Executive ed uno Statista è che il primo deve fare gli interessi ( leciti ) della propria azienda, lo Statista deve fare gli interessi della Nazione, e quando s’avvede che gli obiettivi di una Corporation cofliggono con gli interessi della comunità e dell’interesse nazionale, il suo compito è bloccare sul nascere il tentativo e legiferare affinché non abbia a ripetersi.
Nel caso della Cina, se il Dragone non fosse stato risvegliato dalle miopi strategie delle Corporations, il dragone sarebbe ancora una lucertola, senza tecnologia d’avanguardia, con la massima parte della popolazione ancora rurale, con un apparato industriale e militare da terzo mondo.                                                                                                                                                                                                                       Come rende l’ immagine geografica in alto, artatamente modificata,  che disegna una Cina insulare racchiusa in sé stessa, sta a significare il tallone d’Achille di questa nuova potenza: il suo solipsismo geopolitico, il suo sinocentrismo” non includente ma occupante.

Ma andiamo a vedere la fotografia attuale di questo fantastico mercato dalle magnifiche sorti e progressive. Io vi dò un’anticipazione flash: al momento, la grande maggioranza della popolazione è costituito da consumatori-quelli “valore” che vivono in famiglie con reddito annuo getta tra $ 6.000 e $ 16.000 (pari a 37.000 a 106.000 renminbi), quanto basta per coprire i bisogni di base. Consumatori “mainstream”, relativamente ben-to-do le famiglie con reddito annuo disponibile delle tra $ 16.000 e $ 34.000 (equivalente a 106.000 a 229.000 renminbi), formano un gruppo molto piccolo in confronto. La Cina ha meno di 14 milioni di queste famiglie, che rappresentano solo il 6 per cento della popolazione urbana. Un piccolo gruppo di consumatori “benestanti”, il cui reddito familiare superiore a 34 mila dollari, rappresenta solo il 2 per cento della popolazione urbana, ovvero 4,26 milioni di famiglie.              Di seguito potete appagare la vostra curiosità con questo bel rapporto di McKinsey.

UNA SUGGESTIVA CARRELLATA DI OPINIONI DI AUTOREVOLI COMMENTATORI QUI DI SEGUITO.

ANALISI

Dopo aver sciorinato tutti questi dati è il momento di trovare il bandolo della matassa per cercare di interpretare correttamente ciò che è successo.*Io parto da un assunto di fondo: la Cina è un mostro, neanche così pauroso, creato dal turbo capitalismo delle Fortune 500 companies.

Ma andiamo con ordine.

  1. Le BIG Fortune 500 quando non funzionano eseguono pedissequamente ciò che è nell’interesse del loro Top Management che ha il sopravvento sugli azionisti il che ,spesso, li porta ad esercitare politiche aziendali di breve respiro finalizzate all’esclusivo intenti del loro tornaconto personale in termini di emolumenti vari tra bonus, benefit, etc.
  2. Quando funzionano il loro compito è di massimizzare il profitto per i loro Azionisti e pertanto a volte questo può coincidere con politiche di più lungo respiro e meno predatorie dal punto di vista dell’interesse personale, soprattutto nel caso il controllo sia ancora nelle amni del fondatore o dei suoi eredi.
  3. Quello che non sono : non sono enti caritatevoli che finalizzano la massimizzazione del profitto al benessere più generale della Comunità in cui operano e della Nazione che li ospita.
  4. Da qui la funzione imprescindibile della Politica e di Autorità Pubbliche Indipendenti che tutelino la compatibilità delle libere attività di impresa con la salute, ladignità e il benessere del cittadino e collettivo.

I^ FASE

A partire dagli anni ’90 è cominciata la crasi tra interese Pubblico e interesse Privato. Gli Stati hanno abdicato al loro ruolo di Regolatori e Arbitri e ora nestiamo pagando le conseguenze.

La Cina degli anni ’80 era ancora un gigante “nano”, con un’economia agricola, privo di tecnologie avanzate, con un regime isolato e isolazionista.

In quegli anni le Big Corporations si accorsero che i mercati tradizionali occidentali stavano diventando maturi e i salari pertanto non avrebbero potuto essere aumentati per incrementare la domanda interna. Inoltre il boom demografico post bellico era terminato diminuendo la platea dei potenziali consumatori.

C’era ancora una leva però sulla quale avrebbero potuto giocare per espandere ulteriormente il mercato: abbattere i prezzi. Per fare questp occorreva la delocalizzazione delle imprese manifatturiere in nazioni con manodopera quasi a costo zero ( la politica della ciotola di riso) a condizioni estremamente vantaggiose per gli insediamenti industriali : assoluta condiscendenza dei governi locali verso produzioni altamente inquinanti, inesistenza di tutele sindacali per i lavoratori, manodopera molto spesso anche qualificata a costi ridicoli.

Posto che i trend macroeconomici non sono immediatamente avvertibili ma si manifestano nella loro crudezza anche dopo anni dal loro inizio, al principio sembrava di aver trovato l’uovo di Colombo: i consumatori erano contenti perché riusciorono ad ampliare il paniere degli articoli delle loro spese in maniera considerevole comprando molte  più cose con gli stessi budget di spesa di prima, le Corporations ancora più contente perchè il differenziale tra ricavi e profitti aumentò in maniera considerevole, e i Governi pure furono contenti di non mettere mano a difficili trattative salariali essendo apparentemente aumentata la capacità di spesa dei cittadini.

Nel frattempo però, mentre si celebrava la bellezza della globalizzazione ( dei profitti ), permettendo alla Cina di entare, nel 2001, nel WTO, a condizioni di dumping economico nei confronti del resto delle imprese occidentali, le radici del sistema imprenditoriale ( soprattutto Italiano dominatop dalle PMI andavano marcendo ).

Il grande capitale dei paesi emergenti aveva ottenuto la liberalizzazione dei mercati e l’abbattimento di gran parte delle barriere protezionistiche dei paesi più ricchi. In questo modo poteva sfruttare il vantaggio competitivo sul costo del lavoro e avviare dei processi di sviluppo trainati dalle esportazioni. Il grande capitale dei paesi emergenti avevaottenuto la liberalizzazione dei mercati e l’abbattimento di gran parte delle barriere protezionistiche dei paesi più ricchi. In questo modo potè sfruttare il vantaggio competitivo sul costo del lavoro e avviare dei processi di sviluppo trainati dalle esportazioni.

Gli avveduti Globalizzatori, che tutto erano tranne che degli sprovveduti,sapevano che la domanda aggregata, quindi, non poteva essere trainata né dagli investimenti, né dai consumi e di conseguenza lo sviluppo economico di molti Paesi, in passato grandi potenze industriali conEuropa e Giappone in testa, sarebbe stato piuttosto debole e avviato ad un misero declino. Pertanto, misero in atto due strategie, che io chiamo “prendi tempo e intanto incassa”: nei Media spiegarono e celebrarono alla pubblica opinione la bellezza del mercato globale ” Ma cosa temi ?” raccontavano al signor Brambilla o a  Mr Smith ” ora hai disposizione un mercato di un miliardo o due miliardi di consumatori., ti abbiamo aperto un’ autostrada….” ; epperò se il brambilla potevano intortarlo con la storia dei nuovi due miliardi di consumatori, alla classe media che vedeva ridursi il salario per via della concorrenza asiatica cosa gli si andava a raccontare ?

II^FASE 

Gli Usa non potevano permettersi un ristagno dell’economia, dato il loro ruolo preminente nel sistema dell’imperialismo globale.  Forzarono dunque la crescita interna attraverso una politica monetaria espansiva e un aumento della spesa pubblica in deficit (anche per finanziare le spese militari). Inoltre, sotto la spinta delle lobby finanziarie, hanno deregolamentato il sistema bancario e finanziario favorendo l’indebitamento dei consumatori e la diffusione di comportamenti speculativi (a partire dai mercati immobiliari) anche tre le classi medie e ampi strati delle classi lavoratrici. Il loro sviluppo non poteva essere trainato dagli investimenti, che crescevano poco, né dalle esportazioni, visto che la bilancia commerciale era in disavanzo. Non sarebbe stato trainato neanche dai consumi di massa se questi fossero stati sostenuti solo dalla crescita salariale, dal momento che i salari non aumentavano adeguatamente. È stato trainato dal debito. La crescita della spesa per consumi è stata sostenuta da un indebitamento crescente delle famiglie. La grande bolla speculativa che ha preceduto la crisi si è gonfiata insieme al debito privato.

AMORALE DELLA STORIA

La Cina e altri paesi emergenti hanno favorito la realizzazione di questa politica. Il deficit commerciale Usa ha permesso loro di espandere le esportazioni e accumulare enormi riserve di dollari. Le loro politiche di controllo dei cambi hanno mirato a impedire l’apprezzamento delle valute nazionali rispetto al dollaro, in modo da mantenere la competitività delle loro merci. Le riserve di valuta poi sono state investite nell’acquisto di titoli di stato e privati statunitensi, contribuendo così da una parte a finanziarie le spese militari Usa, dall’altra a consolidare la politica monetaria espansiva della Fed. In altri termini, l’indebitamento dello stato, delle famiglie e delle imprese Usa, che in parte è stato sostenuto dall’espansione del credito bancario interno, in buona parte è stato finanziato anche dalla Cina e da altri paesi emergenti con i risparmi resi possibili dai bassi livelli salariali. In un certo senso si potrebbe dire che i lavoratori cinesi e indiani hanno stretto la cinghia per consentire a quelli statunitensi di allentarla più di quanto sarebbe stato consentito dai loro salari. Nello stesso tempo i bassi salari nei paesi avanzati ed emergenti hanno consentito ai capitalisti di tutto il mondo di fare enormi profitti, mentre la speculazione sui mercati finanziari ha permesso loro di accumulare guadagni di capitale oltre il livello che sarebbe giustificabile dagli investimenti reali.

*CHE SUCCEDE ORA ? SIAMO NELLE MANI DELLA CINA ? : NEANCHE PER SOGNO MA VI SPIEGO PERCHE’ C’E’ DA AUGURARSI CHE NON CROLLI.

Vi ricordarte quando solo dieci anni fa apparivano sui nostri media questi nuovi tycoon del celeste impero che con una certa sprezzante baldanza ci anticipavano un pianeta Terra globalizzato e posseduto dalle aggressive Corparations cinesi ?

Beh io già allora non ci credevo come non ci credo ora : mi ricordo Black Rain – Pioggia sporca (Black Rain) è un film del 1989 diretto da Ridley Scott, con Michael Douglas, film in cui Hollywoodche traduceva il timore profondo dell’americano medio di fronte ad un Giappone che non smetteva di fare shopping negli Usa di tanti gioielli di famiglia.  Durante gli anni ’80 sembrava che il Giappone avesse trovato la chiave per un successo economico costante e straordinario, con un’economia in crescita a un ritmo del 5% l’anno. Poi, sappiamo come andata, la lenta stagnazione degli anni ’90, protrattasi a fasi alterne sino ad oggi.

Ma torniamo alla Cina: avete notato questa nuova assertività un po’ scomposta – recenti tensioni con le Filippine e con Taiwan – tanto da indurre Gli USA a war games congiunti con i suoi alleati asiatici nel Mar Occidentale delle Filippine dove si trovano le controverse isole Spratly, e nel Mar Cinese Meridionale – che denota un certo nervosismo di Pechino e forse un desiserio di distogliere la popolazione dai problemi interni che ci sono.

Ma ritorno in premessa su un dato economico: oggi la Cina ha meno di 14 milioni di queste famiglie, che rappresentano solo il 6 per cento della popolazione urbana. Un piccolo gruppo di consumatori “benestanti”, il cui reddito familiare superiore a 34 mila dollari, rappresenta solo il 2 per cento della popolazione urbana, ovvero 4,26 milioni di famiglie.

Pertanto

  1. La Cina non può vivere in un isolazionismo autarchico, non ha un mercato interno neanche lontanamente sufficiente ad assorbire la sua imponente capacità produttiva : è essenziale per la sua sopravvivenza esportare.
  2. Non solo la Cina è pesantemente deficitaria di materie prime necessarie al sostentamento del suo apparato industriale che deve per forza procurarsi verso paesi terzi non sempre amici ( ne ha ben pochi ).
  3. L’unico alleato fedele sul quale possa contare è l’ondivaga ed imprevedibile Corea del Nord mentre è noto che la Cina non abbia ottimi rapporti con India, Giappone ed anche se ultimamente migliorati, con la Russia.
  4. I suoi mercati principali sono USA e UE : appena l’area UE è andata in crisi i tassi di sviluppo cinesi sono cominciati a flettersi.
  5. Attualmente il tasso di sviluppo dichiarato si aggira sul 7,2 %. Ricordiamo che il Governo cinese ritiene ideale l’8% per conntenere le tante aree di ribellione sociale; il 6% viene ritenuto una soglia pericolosa ed incompatibile a contenere le tensioni sociali del Paese.
  6. Le tensioni sociali della popolazioni sono aumentate per via del trend demografico, il cui picco raggiungerà il 2026 mentre per es. la popolazione americana è destinata ad aumentare del 30% nei prossimi 40 anni. Questo trend porterà ad un aumento dei pensionati con relativo aggravio delle casse statali.
  7. Il fulmineo, travolgente ed incontrollato Boom industriale ha trascurato completamente la tutela del territorio e la sua preservazione dall’inquinamento; come risultato la Cina vede ora amplissime parti del suo territorio ecologicamente irrimediabilmente devastate, comprese le falde acquifere. Da qui la sua avidità per accappararsi i territori africani con le sue ingenti risorse naturali e agricole ( ed anche là sta compiendo devastazioni ecologiche immani con la complicità della corrotta dirigenza locale).
  8. La Cina in questi anni sta tentando una goffa operazione simpatia aprendo in giro per il mondo sedi di confucianesimo o similari;per fortuna il soft power è una cosa molto seria che può essere trasmesso solo da Nazioni e collettività libere e in cui questo modus vivendi sia storicizzato e rappresentato come intima appartenenza dello spirito di un popolo.
  9. In Cina c’è un ambiente ostile per la libera impresa a causa dell’elevatissima corruzione a tutti i livelli della sua amministrazione, forti rischi di furto di proprietà intellettuale; concorrenza interna inesistente a causa degli aiuti di stato erogati alle imprese cinesi private.
  10. Grande rischio dell’esplolsione della bolla immobiliare; pensate che il 41% dei cinesi detengono asset immobiliari contro il 26% degli americani; se pensiamo a ciò che è successo con i mutui subprime negli Usa c’è da tremare al confronto. Occorre inoltre considerare che una grande parte di questo ammontare dedicato all’investimento immobiliare ( per mancanza di alternativa) è opaco e sfugge dal bilancio, originando spesso dal nero.
  11. Ultimamente, come si è riferito sopra, alcuni commentatori sono preoccupati per l’enormità dei Treasury ( debito pubblico USA) in mano ai Cinesi e per il fatto che sembra che i Cinesi vogliano cominciare ad acquistare i barili di petrolio in Yuan o altre monete forti come l’ Euro:  vi chiedo quale sarebbe l’interesse per i Cinesi di far diventare carta straccia il dollaro e il debito pubblico americano dal  momento che è il suo principale mercato di sbocco, ovvero proprio quel mercato, che insieme alla UE ( che se cadessero gli Usa cadrebbe immediatamente dopo), gli dà da mangiare e proprio per il quale ha bisogno di acquistare quel petrolio ?    Riuscite ad immaginare una Banca che abbia impegnato il 60/70 % dei suoi impieghi ad una grande azienda e poi venda sul mercato le azioni della stessa svalutando il suo asset principale ?

TUTTO OK PER GLI USA ALLORA CHE NON DOVREBBERO TEMERE DI VEDERE LA LORO LEADERSHIP MINACCIATA ?

Ovviamente No ! Se il loro massimo azionista dovesse andare in stagnazione le conseguenze sarebbero pesanti ed immediate ancge per gli Stati Uniti  e a cascata per la UE ed i  l mondo intero.

Ma c’è un punto che mi preme rimarcare ancora e sottolineare per gli amici americani che mi stessero leggendo. Se il Popolo Americano non prenderà coscienza che deve riappropriarsi delle ampie quote di sovranità che i propri rappresentanti politici hanno ceduto alle Corporations tanto da farle sembrare non troppo dissimili dalla oligarchia del Congresso nazionale del popolo allora prima o poi il suo soft power che gli ha concesso di vincere tante guerre senza sparare un colpo e di diffondere quel minimo di libertà di cui siamo fieri e non finiremo mai di apprezzare al confronto di popoli oppressi da regimi crudeli e barbarici, allora sarà la fine per tutti.

Che l’ Europa lo voglia o no, un’emarginazione degli Stati Uniti e un ridimensionamento della loro influenza mondiale si ripercuoterà anche su di noi, inevitabilmente. Visto dal mondo islamico, per esempio, l’Occidente è una cosa sola che abbraccia sia l’America sia l’Europa. Non importa se siamo filoamericani, antiamericani o cos’ altro: nonpossiamo pensare di essere degli spettatori indifferenti in questa vicenda, perché se non reagisce al declino dei suoi valori l’America ci trascina con sé.

 «La sfida di Pechino» scrive Halper «se rimane senza risposta modificherà sostanzialmente la fisionomia del mondo». L’America non ha altra scelta, deve resuscitare il fascino universale di valori come l’innovazione sociale, la società aperta, la libertà di espressione, i diritti democratici, il pluralismo politico. Ma deve farlo riscoprendo la lezione di uno dei padri fondatori, John Quincy Adams, che ammoniva così il suo Paese: «Non andare all’ estero in cerca di mostri da distruggere, sii una guida con il tuo esempio».

 Senza una rifondazione della democrazia americana -che la liberi dal peso opprimente delle lobby economiche, che riduca le diseguaglianze sociali -Obama sarà ricordato come una parentesi effimera, un’illusione senza futu

LA VERA POTENZA EMERGENTE: L’ASSE RUSSO – PANGERMANICO.

The Eurasian Empire
The Eurasian Empire

NEONAZIONALISMO E PANGERMANESIMO NEL II° MILLENNIO

  • LA CELLULA TERRORISTA di ZWICKAU in Sassonia: 10 persone sono state uccise dal 2000 al 2006. I tre componenti sono Uwe Böhn­hardt, Uwe Mundlos, i cui corpi  sono stati ritrovati dalla polizia in un camper, suicidatisi dopo una rapina andata male, e Beate Zschäpe, che ha fatto saltare in aria l’appartamento dove i tre vivevano per cancellare le prove e poi si è recata spontaneamente dalle autorità. I tre sono responsabili di aver ucciso piccoli imprenditori stranieri, una poliziotta e di aver rapinato diverse banche. Come mai la polizia non è arrivata prima sulle loro tracce? Una volta venuta alla luce la storia, le autorità sono state accusate di incapacità di affrontare gli episodi di violenza ad opera degli estremisti. Inizialmente la morte dei turchi e del greco era stata fatta risalite a una vendetta tra bande e quindi si pensava che non ci fosse motivo di indagare ulteriormente. Tutto è passato abbastanza inosservato, senza che nessuno si preoccupasse, fino a quando, nel corso di una perquisizione all’interno di un appartamento utilizzato da estremisti è stato ritrovato un dvd dove i componenti si accusavano della serie di omicidi. Oltre all’incapacità della polizia, vera o  presunta, un’altra cosa con cui si è dovuto  fare il conto in Germania è il disinteresse dell’opinione pubblica dopo che è stata divulgata la notizia della cellula di Zwickau.
  • Ai primi di marzo 2012 si è tenuta nella città di Munster del Nord Reno Vestfalia una manifestazione organizzata da militanti di estrema destra. Il sindaco di Münster, Markus Lewe, ha definito la manifestazione ”un’offesa”, eppure il partito, la CDU, è stato l’unico a non essere entrato a far parte del gruppo ”Keinen Meter den Nazis”, in opposizione alla manifestazione, la cui iniziativa è stata sposata dai socialisti della SPD, dai verdi e dalla sinistra, da sindacati, chiese e associazioni studentesche.
  • Il capo della Polizia in Nord RenoVestfalia Hubert Wimber  è uno dei verdi: durante la manifestazione neonazista si è preoccupato di liberare le strade per i neonazisti per renderla più agevole ,  mentre contro coloro che  protestavano pacificamente nella contro manifestazione la Polizia ha puntato due cannoni ad acqua; non soddisfatti, i poliziotti si sarebbero lanciati contro i ”contromanifestanti”, persino nei confronti di quelli più anziani di loro, con i cani e cavallo, con spray al pepe e manganelli. Il momento più grave è stato quando un contromanifestante, che secondo la polizia avrebbe lanciato bottiglie addosso agli agenti, è stato malmenato così pesantemente che ha perso conoscenza ed è stato portato in terapia intensiva. Persino una parlamentare della Linke (partito della sinistra), Ingrid Remmers, è stata portata in commissariato con l’accusa di aver picchiato un agente ed è stata obbligata a spogliarsi.
  • Indisturbate da influssi esterni in zone rurali sono state costituite delle piccole colonie di neonazisti o addirittura villaggi dove queste idee politiche vanno per la maggiore. I bambini, che là vengono cresciuti e formati andranno presto a scuola, nell’esercito, all’università, presumibilmente propagando le ideologie e i metodi cui sono sono stati addestrati.
  • I neonazisti della Npd si stanno infiltrando in Alternativa per la Germania, il partito no euro fondato il 14 aprile sc. a Berlino. La conferma è arrivata direttamente da un dirigente del partito di destra estrema, che in questi mesi ha rischiato di esser vietato dopo che sono emersi i suoi coinvolgimenti negli omicidi commessi dai terroristi neonazisti della Nsu.Uwe Meenen, il vice presidente dell’unione regionale di Berlino della Npd, il partito nazionalista tedesco di chiara matrice neonazista, ha ammesso che il suo partito sta tentando di infiltrarsi in modo pianificato all’interno di Alternativa per la Germania. Al congresso di AfD, il partito no euro fondato il 14 aprile scorso a Berlino, Uwe Meenen, ha ammesso a Frankfurter Allgemeine Zeitung le intenzioni della Npd, evidenziando come al congresso di Berlino ha visto decine di volti noti, tra i quali militanti della formazione neonazista e persone di estrema destra che però non sono iscritti a nessun raggruppamento. “Forze libere”, è la definizione di Meenen al Frankfurter Allgemeine Zeitung. Alla domanda del quotidiano tedesco se ciò rappresenti una strategia mirata, il dirigente della Npd ammette come ” una strategia lo sia di sicuro. Vogliamo sapere ciò che fa la concorrenza. Se ci fosse la possibilità di candidare in ruoli di spicco i camerati, noi dovremmo sfruttare questa chance”.                                                                      
  • Il partito nazionalista della Germania, Npd l’acronimo tedesco, è stato fondato a metà degli anni sessanta, sulle ceneri della formazione di estrema destra Partito dell’impero tedesco scioltasi nel 1965. La legge fondamentale della Germania vieta la ricostituzione di formazioni naziste, e la Npd è sempre stata attenta a mascherare, per quanto possibile, la sua natura. In passato il partito ha subito vari processi per essere vietato, ma i giudici costituzionali hanno deciso per non sciogliere la Npd alla luce del carattere non violento della sua attività. Dopo la scoperta degli omicidi della Nsu sono però emersi alcuni legami tra iscritti della formazione di destra radicale ed il numeroso fronte che appoggiava l’operato criminale dei terroristi neonazisti. I ministri presidenti degli stati tedeschi volevano introdurre un nuovo procedimento di divieto, ma il governo della Merkel si è opposto. La Npd è rappresentata in alcuni parlamentini regionali della Germania dell’Est, ma la sua rete è piuttosto consolidata anche all’Ovest.

La Russia finanzierebbe SPD e verdi in Renania e Vestfalia.

La vera notizia nell’interessantissimo articolo di Imad Fawzi Shueibi: La convergenza di interessi di Russia e  Germania al centro della crisi iraniana e siriana.

La tesi di fondo è: l’attacco mediatico e militare contro la Siria è direttamente legato alla competizione mondiale per l’energia.
Mentre l’Europa rischia di autoaffondare e gli USA si sono indebitati per 14.940 miliardi di dollari, è chiaro che il gas, elemento chiave del XXI secolo come il petrolio nel ‘900, diventa LA strategia.

La Russia, dopo la catastrofe del regime comunista, ha capito che doveva mettere al centro della propria rinascita il gas, partendo dal modernizzare produzione; trasporto; commercializzazione.
Nel 1995 Vladimir Putin creò la strategia di Gazprom, dai giacimenti russi ai Paesi vicini produttori, come Iran, Azerbaïdjan, Turkmenistan, Iran.
Si posero le basi per i progetti Nord e South Stream, mentre gli USA creavano il progetto Nabucco.

 South Stream nasce in Russia, passa sotto il Mar Nero fino alla Bulgaria e si divide tra Grecia e Sud Italia da un lato, e Ungheria e Austria dall’altro.

Il progetto Nabucco invece parte dal Caspio e dal Mar Nero, attraversa la Turchia, dove il gas viene stoccato, arriva in Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria, da dove va in Cekia, Slovenia, Italia e Croazia. Doveva passare dalla Grecia, ma l’idea fu abbandonata dietro pressioni turche. Nabucco è rinviato al 2017 ed è in crisi dopo il voltafaccia italiano (ENI è passata con Gazprom). Nabucco è in crisi anche perché prevedeva la distribuzione di gas iraniano (principale concorrente russo), operazione oggi impossibile.

Dieci mesi fa però l’Iran ha siglato un accordo per il trasporto del suo gas sul Mediterraneo via Irak e Siria. A questo punto Siria e Libano diventano concorrenti della Turchia, dotate di propri giacimenti (è il macrogiacimento del Bacino orientale del Mediterraneo, con giacimenti enormi tra Israele, Cipro, Libano e (forse) la stessa Siria. Ecco perché la Turchia è passata dall’alleanza economica in stile mini UE con Irak e Siria, all’attacco seminascosto alla stessa Siria.

L’ASSE RUSSO-TEDESCO

Una delle cose che non si sanno nella geopolitica mondiale è il ruolo decisivo della Germania nella creazione del gigante Gazprom. Si potrebbe quasi parlare di nuovo “Patto von Ribbentrop-Molotov”. In realtà è un “Patto economico”, ma ha ricadute politiche talmente enormi da far pensare che la crisi economica europea (cioé tedesca) costituisca una grande gioia per gli Stati Uniti (qui però siamo alla fantapolitica). Non è invece fantapolitica il dato ricordato dal professor Shueibi:
La Gazprom è stata fondata negli anni ’90 con la collaborazione di Hans-Joachim Gornig, un tedesco vicino a Mosca ed ex vicepresidente della company del petrolio tedesca. Fino all’ottobre del 2011 la Gazprom è stata diretta da Vladimir Kotenev, ex ambasciatore di Russia in Germania. Si ricorderà inoltre che il doktor Schroeder, ex cancelliere tedesco (SPD), fu “assunto” come consulente dalla Gazprom all’indomani della fine del mandato politico in Germania.
Russi e tedeschi hanno co-realizzato Nord Stream, e hanno stretto rapporti per giganti come E.ON (distribuzione) e BASF (chimica). E.ON ha avuto la garanzia (negata ad altre nazioni europee) di fornitura senza rialzi di prezzi. In Germania Gazprom ha creato la joint-venture tra Wingas e Wintershall (18% del mercato del gas tedesco). BASF ed E.ON in cambio controllano un quarto del giacimento Loujno-Rousskoïé da dove parte Nord Stream. La “Gazprom tedesca” possiede il 40 % della Austrian Centrex Co, specializzata nello stoccaggio di gas (progetti anche a Cipro). In Austria sarà stoccata la gran parte di South stream.

Ecco cosa scriveva Shueibi prima delle elezioni in Renania del nord e Westfalia (che hanno visto il crollo della Merkel):  “I legami strategici legati al gas determinano una forte lobbying di Mosca sul partito socialdemocratico tedesco (SPD) in Basso Reno-Vestfalia, principale centro dell’industria tedesca”.

Quando puntano il ditino scandalizzato sulla corruzione e le ingerenze esterne nella politica italiana: i tedeschi lo fanno alla luce del sole, e rischiano grosso, passando dal controllo americano a quello russo, in barba all’atlantismo dichiarato… . “L’influenza dei russi è stata ammessa da Hans-Joseph Fell, responsabile delle politiche energetiche dei Verdi” (che “casualmente” sono arrivati al 12,1% nelle ultime elezioni ).

Il matrimonio russo-tedesco è rafforzato dalla presenza di 3 milioni di russi in Germania. Putin ha ricostruito la vecchia rete della STASI, la vecchia polizia politica della Germania dell’Est. Ex agenti russi sarebbero -secondo il Wall Street Journal– i responsabile finanziari e del personale di Gazprom Germania, mentre  Matthias Warnig, ex giovane dirigente del KGB e reclutatore di spie a Dresda, è Direttore finanziario del Consorzio Nord Stream.

MA IL FEELING RUSSO – TEDESCO E’ DI LUNGA DATA; QUI CITIAMO ALCUNI PASSAGGI SIGNIFICATIVI.

  1. 17 giugno 2011: il produttore leader in Germania di tecnologia militare, Reinmetall, ha firmato un contratto di 398 milioni dollari con la Russia per sviluppare un “centro di addestramento al combattimento per le forze di terra russe”. Alcuni commentatori fanno un parallelismo con la cooperazione segreta che cito al punto 3)
  2. Il Patto Molotov-Ribbentrop, talvolta chiamato Patto HitlerStalin,fu un trattato di non aggressione fra la Germania Nazista e l’Unione Sovietica. Venne firmato a Mosca, il 23 agosto 1939, dal Ministro degli Esteri sovietico Vjačeslav Molotov e dal Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop.
  3. il 1920 post-Rapallo e primi anni 1930 la cooperazione segreta tra Armata Rossa dell’Unione Sovietica e la Germania di Weimar del Reichswehr, che ha permesso a quest’ultimo di sviluppare e testare armi in Russia, vietate ai sensi del Trattato di Versailles.
  4. Bismarck, cui premeva di legare in un modo o nell’altro la Russia per ostacolare il ravvicinamento di essa alla Francia, concludeva con Pietroburgo, in totale segretezza, un triennale trattato russo-tedesco impegnante le due potenze alla reciproca neutralità in caso di aggressione di un’altra potenza (trattato di controassicurazione).                                   Fu rivelato all’epoca da un eccellente  Henry Wickham Steed ; famoso pubblicista inglese, nato a il 10 ottobre 1871 aLong Milford (Suffolk) , fu assunto al Times nel 1896 quale secondo corrispondente da Berlino, fu quindi corrispondente da Roma (1897-1902).Nei mesi trascorsi a Berlino, prima del trasferimento a Roma, Steed si distinse per aver correttamente intuito e pubblicato sul “Times” l’identità di un autore di un articolo comparso il 24 ottobre 1897 su un giornale di Provincia , l’ “Hamburger Nachtrichten”, che rivelava il patto segreto di contro-assicurazione che era esistito dal 1884 al 1890 fra la Germania e la Russia. il Patto garantiva la reciproca neutralità dei due paesi contraenti in caso di attacco all’uno od all’altro da qualsiasi parte e quindi indeboliva la triplice alleanza. L’autore dell’articolo era Bismark: solo Steed lo aveva capito. Fu un colpo giornalistico che aumentò il suo prestigio.                                                                                                                                               Durante quel soggiorno a Berlino, Steed si convinse: “…..che la Germania che credevo di conoscere – e che amavo – nel 1892/93 – era morta e che solo la Pan Germania degli Hohenzollern sopravviveva, con un odio mortale per l’Inghilterra “.

II MILLENNIO IL PROGETTO EURASICO : LA PAN GERMANIA E LA GRANDE RUSSIA.

Il Movimento Eurasiatista e la Russia di Putin

Prima di affrontare brevemente le caratteristiche del neo-eurasiatismo, un piccolo inciso giusto per collocare in termini di attenzione un fenomeno che altrimenti potrebbe apparire storicizzato e marginale. In un suo documento di presentazione di qualche anno fa, il Movimento Internazionale Eurasiatista dice di comprendere «numerose organizzazioni non governative con sede in 22 diversi paesi, nella CSI, nella UE (Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna), in America (USA, Cile), nei paesi islamici (Libano, Siria, Egitto, Turchia, Iran, Pakistan), in estremo oriente (India, Giappone, Vietnam) e così via. Nella Federazione Russa vi sono inoltre 36 rappresentanze regionali del Movimento Eurasiatista (…) Nato ufficialmente dal congresso costitutivo di Mosca del 20 Novembre 2003, è registrato presso il Ministero di Giustizia Russo come “movimento sociale internazionale”. L’attività del Movimento Eurasiatista è definita dalle risoluzioni dell’“Alto Consiglio”. L’organo esecutivo del Movimento Eurasiatista è il “Comitato Eurasiatista”, con sede a Mosca. Il presidente del “Comitato Eurasiatista” e guida del “Movimento Eurasiatista” è Alexander Dughin, il filosofo fondatore del Neo-Eurasiatismo». Sorvolando sugli «obiettivi principali», è interessante scorrere i nomi dei membri dell'”Alto Consiglio. Sono: Troshev A. P. (vice-portavoce del Senato russo), Aslahanov A. A-M. (consigliere del Presidente della Federazione Russa), Margelov M. V. (presidente del Comitato per gli Affari Internazionali del senato russo), Kalyuzhny V. I. (vice-ministro per gli Affari Esteri della Russia), Tadjuddin T. S. (Gran Muftì della Federazione Russa), Mitropolit Andrian (Chetvergov; capo della Chiesa Ortodossa Russa), Sagalaev E. M. (presidente dell’Associazione Nazionale dei Media), Zagarishvili S. A. (membro dell’Accademia Russa delle Scienze), Djumagulov A. D. (ex primo ministro della Repubblica del Kirghizistan), Chernychev A. S. (ambasciatore plenipotenziario della Federazione Russa), Efimov N. N. (direttore della rivista “Stella Rossa”). Si chiude, sibillinamente, con «e molte altre personalità in altri paesi». Quindi l’indicazione di «diversi reparti specifici»: Segretariato (con a capo Zarifullin P. V.), Ufficio analitico (con a capo Krivosheev S. A), Ufficio educativo (sistema di istruzione “Nuova Università”), Ufficio stampa (con a capo Korovin V. M.); Club economico eurasiatista, Forum eurasiatista (rete di esperti). Questo è il documento da cui emergono una indubbia rilevanza e significato politico di certi nomi e del relativo ruolo. Possiamo aggiungere che Dughin, figura molto significativa nella storia anche culturale della nuova destra russa – è lui a divulgare, in certi aspetti con una dichiarata volontà di rivisitazione e reinterpretazione, il pensiero del nostro Evola–, è divenuto un consigliere di Putin.

Individuando dei momenti significativi della ripresa eurasiatista nella seconda metà degli anni Ottanta, possiamo rilevare che dopo una fase iniziale dai caratteri di “destra-conservatrice”, prossimo al tradizionalismo storico, con elementi ortodosso-monarchici, “etnico-pochvenniki” [legati al concetto della “terra”] e ferocemente critico delle ideologie di “sinistra”, tra gli anni 1991 e il 1993, implosa l’URSS, si avvia una revisione dell’anticomunismo che era stato proprio della prima fase del neo-eurasismo. Ora che non c’è più l’URSS, si rivaluta il periodo sovietico nello spirito dei «nazional-bolscevichi» e degli «eurasisti di sinistra». Ma lo si fa nel mentre si stringono i rapporti con le varie anime della “Nuova Destra” europea. Intanto, tra il 1994 e il 1998, riferimenti diretti e indiretti all’eurasismo compaiono nei documenti programmatici del KPFR (Partito comunista), LDPR (Partito Liberaldemocratico) e NDR (Nuova Russia Democratica), ossia di sinistri, destri e centristi. Tra il 1998 e il 2001 si registra uno spostamento su posizioni centriste in politica, con il sostegno a Primakov nella sua nomina a premier. Dughin diventa consigliere del portavoce della Duma G. N. Seleznev. Il progressivo allontanamento dall’opposizione porta ad un avvicinamento alle posizioni del governo. Il 21 aprile 2001, dopo la fondazione del Movimento Politico-Sociale Panrusso EURASIA su posizioni di «centro radicale» (nel 2002 si trasformerà in partito), viene una dichiarazione di pieno appoggio al Presidente della Federazione Russa V. V. Putin.

Chiuso l’inciso.

Il neo eurasiatismo

Sia in Russia, sia in altri Stati europei dove si configurano gruppi, che in nome dell’eurasiatismo si muovono, vi è una differenza da rilevare. Mentre in Russia è molto più marcata, se non assunta in senso assoluto, la dimensione e la centralità imperiale esclusivamente russa dell’eurasiatismo, altrove l’accento è meno russo e più diluito nell’idea astratta di un’entità, sempre imperiale, che ipotizza, in via transitoria, un’Europa alleata, alla pari, con la Russia, in vista di un’aggregazione più ampia, continentale, con il centro politico, geografico e spirituale di questo immenso Stato ovviamente a Mosca. Per altri, che la sparano più grossa, si va direttamente da Dublino a Vladivostok, fino a strabordare per altri ancora che si spingono ad includere Cina, India e mondo arabo, tutti insieme appassionatamente in un  «eurasiatico blocco federale» all’interno di un mondo globale auspicato, non si capisce bene in che senso, come «multipolare». Sarebbe interessante scandagliare certe differenze di estensione geopolitica, ma il tema ci porterebbe lontano. Val la pena rilevare due aspetti: il primo è che l’eurasiatismo viene tarato a seconda di chi lo formula. Quello di matrice europea occidentale, per così dire, non ha ovviamente riferimenti al bizantinismo o al ruolo di ponte eurasiatico della Russia, ma punta geopoliticamente ad un’idea imperialmente astratta di sedicente riunificazione di popoli d’Europa, fino alla Russia, e la liberazione del Continente da ogni presenza esterna, vale a dire britannica e americana. Le guide “spirituali” ricorrenti ovunque, però, dall’Italia, alla Germania, alla Russia sono guarda caso sempre Evola e Guenon. Il secondo aspetto è che il modello geopolitico conserva l’impronta, con aggiustamenti dettati dalla congiuntura storica, di quello fornito dal tedesco Karl Haushofer, che nel secolo scorso si fece vate della realizzazione di un blocco continentale, guidato da Germania, Italia, Unione Sovietica e Giappone. Dopo il crollo del nazismo ed il venir meno di chi centrava sulla Germania di Hitler l’idea di un’Europa imperiale, la Russia –ed anche una lettura retrospettiva della sua storia– è assurta in modo deciso ad un ruolo centrale. Visto come l’avanguardia del sistema spaziale (Oriente) contrapposto a quello «temporale» (Occidente), è sul blocco strategico incentrato sulla Russia o comunque sulla sua base allargata che viene configurata l’Eurasia su scala continentale.

L’ ideologo: Aleksandr Gel’evič Dugin

Dugin, nato nel 1962, è figlio, nipote e pronipote di ufficiali militari russi e, secondo varie notizie di stampa, il padre di Dugin era un generale nel GRU (intelligenza militare russa ). Durante la metà e la fine del 2002, la prova relativa maggiore peso politico di Dugin ha cominciato a salire. E ‘stato riferito, ad esempio, che Dugin stava preparando diversi progetti di programmi per l’Amministrazione Presidenziale. Allo stesso tempo, Dugin ha continuato a servire come consulente “di geopolitica e sicurezza nazionale” alla Duma speaker Gennadii Seleznev. Inoltre, Dugin è stato nominato membro del Consiglio di ORT televisione di Stato i prestigiosi esperti. Le idee di Alexandr Dugin sono anche abbracciato dalla “Nashi” (la Gioventù Democratica movimento antifascista “Ours”), movimento giovanile politico di Vladimir Putin in Russia.

Nel 2000 ha fondato un nuovo movimento, il Partito Politico Panrusso Eurasia, che nel 2003 è divenuto una ONG col nome di Movimento Internazionale Eurasiatista (Meždunarodnae Evrazijskoe Dviženie, MED).  Di seguito un estratto del suo pensiero politico.

  • Conclusioni : “Mosca Terza Roma”

La recente richiesta di Vladimir Putin – che affronta praticamente nessun ostacolo a diventare futuro presidente della Russia – per una “Unione Eurasiatica” ha suscitato non solo le preoccupazioni circa un possibile tentativo della Russia di ripristinare la dominazione del Cremlino nel corso di altri Stati dell’ex Unione Sovietica, in quello che gli analisti hanno definito un “autoritario consolidamento “, ma anche i timori della influenza che possono avere in Europa, nel contesto della crisi economica che ha fatto l’Unione europea di un progetto meno attraente per i potenziali nuovi membri. Ultimo ma non meno importante, i recenti sviluppi hanno portato alla ribalta la possibilità di una materializzazione delle idee apparentemente “antichi” promosso dal pan-slava e pan-ortodosso (“Terza Roma”) ideologie.

Poco dopo il suo articolo su “Izvestia”, Vladimir Putin ha ospitato a San Pietroburgo un incontro di Comunità di Stati Indipendenti primi ministri, di cui otto hanno firmato un accordo che istituisca una zona di libero scambio tra i loro paesi. Il 1 ° gennaio 2012, la Bielorussia, il Kazakistan e la Russia, che ora formano un’unione doganale, si uniranno uno spazio economico unico. E Putin vuole ancora di più: un “eurasiatica Schengen” libera circolazione delle persone tra i tre paesi, costruito sull’esempio dell’Unione europea entro il 2015, seguito da una unione monetaria e, in ultima analisi, la piena integrazione economica. Infatti, Putin vuole ristrutturare le relazioni della Russia con gli Stati dell’ex Unione Sovietica per creare non solo un mercato più grande, ma alla fine un’alleanza di sicurezza.

Tutto ciò ha implicazioni geopolitiche. In Europa orientale, la Russia sta chiaramente volgendo Bielorussia vicino e è in competizione con l’Unione europea sul futuro orientamento economico dell’Ucraina. Nel frattempo, in Asia centrale, la Russia, avendo costruito forti legami economici con il Kazakistan, sta raggiungendo fuori a Kirghizistan e quindi in concorrenza più attivamente con la vicina Cina. Piuttosto che scegliere tra Bruxelles e Pechino, Mosca ora cerca di trasformare la Russia quartiere post-imperiale in una comunità. E come un obiettivo a lungo termine, Putin prevede una stretta relazione economica tra la sua Unione Eurasiatica e l’UE in quello che lui chiama una “Grande Europa”.

Eurasiatismo: resurrezione o continuità?

Alexander Dugin, capo del Movimento Eurasiatico, che ritiene che ciò avrebbe offerto per Vladimir Putin “un motivo per cui lui ha bisogno di tornare”. Nel novembre del 2000, poco prima di intraprendere un viaggio in Brunei, il Presidente Putin ha dichiarato pubblicamente: “. Russia si è sempre percepito come un paese eurasiatico” Dugin seguito definito questa affermazione “un epocale, l’ammissione rivoluzionario grandioso, che, in generale, cambia tutto “. Più tardi, in un’intervista con la divisione Krasnoyarsk di Ekho Moskvy Radio il 25 luglio 2001, Dugin, commentando il ruolo di Putin a un G-8 incontri a Genova, ha affermato: “La mia impressione è che in ambito internazionale, Putin è splendidamente realizzando il modello politico eurasiatico. “

Per quanto riguarda il futuro dell’Europa, Dugin scrive: “Il compito di Mosca e ‘di strappare l’Europa a partire dal controllo degli USA (NATO), per assistere l’unificazione europea, e di rafforzare i legami con l’Europa centrale sotto l’egida esterna fondamentale asse Mosca-Berlino. Eurasia ha bisogno di un’Europa unita, amichevole Europa “.

Si segnala, inoltre, che Dugin non si concentra in primo luogo sulla mezzi militari come un modo di raggiungere il dominio russo nel corso Eurasia, ma egli sostiene un programma abbastanza sofisticato di sovversione, destabilizzazione e disinformazione guidato dal servizi speciali russi, sostenuta da un duro e ostinato uso come arma di pressione del gas della Russia, il petrolio, e le ricchezze delle risorse naturali affinché gli altri paesi si pieghino alla volontà della Russia. Dugin, a quanto pare, non ha per niente paura della guerra ,ma ritiene più intelligentemente raggiungere i suoi obiettivi geopolitici senza ricorrere ad essa.

CONCLUDENDO

Le considerazioni fin qui svolte dovrebbero portare a trarne le logiche conseguenze sull’atteggiamento apparentemente ondivago della Germania ed ob torto collo europeista soprattutto dopo la riunificazione.

La Germania abbiamo visto che è lanazione europea che ha capitalizzato di più dall’Euro ed il suo surplus sta lì a dimostrarlo.La minaccia della grande Germania riunificata ha accelerato il processo di unificazione europea in maniera malsana partendo dall’ultima cosa che ragionevolmente si sarebbe dovuta fare : la moneta unica.

Per tenere buoni i tedeschi e facilitargli la ricostruzione dei disastrati Land Orientali si sono stabiliti dei tassi di cambio vergognosamente svantaggiosi soprattutto per le economie del Sud Europa; e in particolare, è difficile negare che la nzione più colpita è stata l’Italia,  che guarda caso è sempre stato il maggior competitore manifutturiero della Germania sui mercati internazionali.

Ora la Germania sa che con il surplus accumulato potrebbe aiutare gli altri stati comunitari, in particolare del sud Europa ad uscire dalla crisi con politiche economiche  espansonistiche, restituendo in parte i grandi vantaggi di cui ha beneficiato.

Ma tergiversa sa che abbandonare la UE rappresenterebbe il primo passo per un’ abiura dell’Atlantismo con ripercussioni fortissime con Washington…..ma dall’altra parte ha l’antica richiamo della sirena della grande madre Russia: immaginate un’immensa area del pianeta integrata che si estenderebbe dal cuore dell’Europa continentale Pan Germanica fino all’ heartland russo. Un mercato vastissimo di centinaia di milioni di abitanti dove la Germania avrebbe tutta la tecnologia di cui la Russia ha estremamente necessità ed in cambio la Russia possiede risorse naturali enormi, dal gas al petrolio, metalli preziosi, risorse naturali enormi dall’acqua alle foreste, e sopratutto il tesoro poco esplorato del Mar glaciale Artico.

La Germania non ci metterà ancora molto a recidere il nodo gordiano. Sa che la situazione della Ue sta diventando insostenibile. Non ha nessun interesse a starci dentro per  patteggiare continuamente limitazioni e protocolli con soci Europei che producono e vendono manufatti e tecnologie esattamente come lei, dato che tutta l’Europa Occidentale vive con i prodotti del proprio ingegno,  sprovvista com’è, di quelle  risorse naturali e commodities che fanno campare di rendita altri Paesi.

La Pan Germania e la Grande Russia integrate nel sogno ( che può divenire realtà) Euroasiatico della Terza Roma possono essere un mondo autosufficiente ed una potenza ineguagliabile e temibile, con un mercato di maturi consumatori evoluti  di circa 400 milioni di persone, e non basato sulle fantasiose proiezioni che si fanno sulla Cina, che ricordo, di nuovo, per inciso, assomma ad oggi, a meno di 14 milioni di queste famiglie, che rappresentano solo il 6 per cento della popolazione urbana. Un piccolo gruppo di consumatori “benestanti”, il cui reddito familiare superiore a 34 mila dollari, rappresenta solo il 2 per cento della popolazione urbana, ovvero 4,26 milioni di famiglie ( e questa rilevazione non tiene conto ovviamente di cosa succederebbe nel caso perdessero l’Eurasia come mercato di sbocco…….)

*EBBENE CHE COSA PENSATE DECIDERANNO I TEDESCHI QUANDO LE LORO CLASSI DIRIGENTI GLI SNOCCIOLERANNNO PER FILO E PER SEGNO TUTTI I VANTAGGI DI UNA SIMILE SANTA ALLEANZA ( da sempre intimimamente vagheggiata nell’anima profonda di questi due popoli non così dissimili ) CON TEUTONICO PRAGMATISMO E VOLONTA’ DI POTENZA DISSIMULATA MA MAI VERAMENTE SOPITA ?

FIABA: I vestiti nuovi dell’imperatore (o Gli abiti nuovi dell’imperatore) è una fiaba danese scritta da Hans Christian Andersen.

Trama

La fiaba parla di un imperatore vanitoso, completamente dedito alla cura del suo aspetto esteriore, e in particolare del suo abbigliamento. Alcuni imbroglioni giunti in città spargono la voce di essere tessitori e di avere a disposizione un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero e meraviglioso, con la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni.

I cortigiani inviati dal re non riescono a vederlo; ma per non essere giudicati male, riferiscono all’imperatore lodando la magnificenza del tessuto. L’imperatore, convinto, si fa preparare dagli imbroglioni un abito. Quando questo gli viene consegnato, però, l’imperatore si rende conto di non essere neppure lui in grado di vedere alcunché; come i suoi cortigiani prima di lui, anch’egli decide di fingere e di mostrarsi estasiato per il lavoro dei tessitori.

Col nuovo vestito sfila per le vie della città di fronte a una folla di cittadini che applaudono e lodano a gran voce l’eleganza del sovrano. L’incantesimo è spezzato da un bimbo che, sgranando gli occhi, grida: “ma non ha niente addosso!”; da questa frase deriverà la famosa frase fatta

« Il re è nudo! »

Ciononostante, il sovrano continua imperterrito a sfilare come se nulla fosse successo.

Interpreti e personaggi

IMPERATORE : la classe dirigente italiana

CORTIGIANI :  i nominati ( non scelti dai cittadini)

TESSITORI : gli Economic hit men (EHMs)

BIMBO : gli uomini di buona volontà e i cittadini più avveduti.

# L’ I T A L I A : RIPRENDA IL POSTO CHE MERITA NEL CONSESSO PLANETARIO #

  1. Esecutivo e Parlamento insieme devono porre immediatamente all’ordine del giorno la rinegoziazione senza tabù o aree di intoccabilità il Trattato di Maastricht, che preveda la rinegoziazione del tasso di cambio Lira/Euro, l’uscita della germania o la costituzione del gruppo delle Nazioni dell’ Euro del Sud, con a capo sicuramente l’Italia o primi inter pares nel caso di partecipazione della Francia.
  2. Riforma profonda dell’ Amministrazione Pubblica: costosissimma, inefficiente, opaca,inamovibile, autoreferienziale, sovraregolamentata e legiferata, ridondante e pletorica.Così strutturata non può che generare, nel migliore dei casi: disservizi e ostacoli ai cittadini i quali invece si aspetterebbero servizi efficienti e aiuto per facilitare le proprie attività e soddisfare i bisogni per i quali pagano le tasse, nel peggiore dei casi: corruzione, clientelismo, abuso della propria autorità e potere, accesso alle più alte cariche non certo con criteri di trasparenza e meritocrazia. L’accesso sarà riservato a coloro che avranno frequentato università di Alta Formazione e che dopo tirocinio siano stati giudicati competenti da commissioni la cui composizione dia garanzie di indipendenza, trasparenza e legalità.
  • L’accesso, pertanto avverrà secondo criteri di massima meritocrazia, ma il personale dovrà garantire come provenienza geografica la rappresentanza di tutte le realtà della Nazione da Nord a Sud.
  • Verranno posti in esubero tutti quei funzionari e dipendenti che non danno garanzia di professionalità e correttezza professionale. I giudizi sia penali che civili riguardanti controversie tra dipendenti ed utenti/cittadini degli Uffici pubblici avranno delle corsie riservate e preferenziali per la più veloce conclusione del processo.  Quando si avvicinava la sentenza di primo grado si aprì un momento di grande aspettativa per il risultato del dibattimento.
  1. MALAVITA ORGANIZZATA. Quando Giulio Andreotti 23 ottobre 1999, dopo 6 anni e mezzo dall’inizio della vicenda è assolto con la formula “dubitativa” anche Gianni Agnelli  che seguiva attentamente la vicenda, alla vigilia della sentenza si lasciò andare: «Sarà assolto». Perché tanta certezza? L’Avvocato rispose: «Nessun Paese civilizzato può certificare al mondo di essere stato governato dalla mafia. Neppure se fosse vero». Ebbene nessuna Nazione occidentale che ha l’ambizione di svolgere una funzione di leader nel mondo perlomeno come potenza regionale può permettersi di avere ben quattro regioni del Paese al di fuori del controllo dello Stato e nelle mani delle varie criminalità organizzate.
  • Occorre sospendere nelle quattro regioni in questuione il diritto di elettorato sia attivo che passivo; istituire dei commissari dotati di pieni poteri e con a disposizione un arco temporale congruo per portare a compimento l’opera di pulizia anche con leggi speciali.
  • Rendere estremamente strette le griglie di controllo per coloro che intendano candidarsi sia a Sud che a Nord.
  1. RICOSTITUZIONE DI UNA NUOVA IRIL’italia non deve essere più oggetto di scorribande di gruppi stranieri che dilaniano un morso alla volta i nostri asset piuù strategici se non addirittura esiziali per la nostra sicurezza nazionale. L’ Italia è ormai sprovvista di colossi privati in grado di fare sistema per competere nel mercato planetario. L’Italia ha già dimostrato in passato che un agglomerato pubblico gestito da manager capaci, competenti e coraggiosi, in strettaalleanza e gioco di squadra con le nostre stupende “multinazionali tascabili” possono far ritornare l’ ITALIA protagonista sui mercati mondiali.  Sarebbe anche una stupenda opportunità per far ritornare i nostri talentuosi ragazzi scappati all’estero per fuggire a un Italia fondata sulle caste e la cooptazione.
  2. RUOLO GEOPOLITICO COME POTENZA REGIONALE.   L’Italia ha la sua massima risorsa nell’intelligenza e nell’ingegno delle sue genti che hanno fatto grande la sua storia e la sua civiltà. Tanto abbiamo avuto in bellezza ed ingegno come Popolo e Nazione quanto poco ci è stato dato come materie prime e risorse energetiche. Il ruolo che la Penisola Italiana ha giocato nella sua storia recente e passata nel Meditterraneo, nel Medio Oriente ed in Africa è noto a tutti.  Occorre riprendere quello spirito che animò uomini come Mattei e ripartire con determinazione a giocare il ruolo che ci compete nel gioco geopolitico strategico, senza subalternità o soggezioni di sorta.
  3. Agli Amici Statunitensi va fatto comprendere autorevolmente che con i nuovi assetti geopolitici di cui ho parlato e che non ritengo così fantapolitici, e ce ne acorgeremo tutti presto,  non è conveniente per loro avere un Italia debole, industrialmente depotenziata, con strutture e Istituzioni Statali e Governative eccessivamente condizionate dalle ingerenze esterne. Un’ Italia di nuovo grande, moderna, proiettata verso il futuro e forte del suo glorioso passato leader dell’Europa del Sud, potrà essere un ottimo controbilanciamento allo strapotere Russo-Pan Germanico. Aiutateci a mantenere in casa quello che ci rimane di quello che una volta era un grande complesso produttivo industriale invidiatoci da tutto il mondo. A ripotenziarlo e a riportarlo all’originale “grandeur” ci pensiamo noi.  Ricordatevi, amici americani:   solo 68 anni ebbe termine la II Guerra Mondiale scatenata dalla Germania.

Se tutto ciò non sarà fatto non oggi  ma ieri, si realizzerà esattamente quanto sostenuto da questo trader londinese.

CONGEDO

Ok, spero di non avervi troppo annoiato e di non essere stato prolisso….

Non vedo miglior modo di congedarmi e dare il senso finale alle mie parole con il discorso famoso di Al pacino alla sua squadra di football sull’orlo del baratro in “Ogni maledetta Domenica”.

« Tutto si decide oggi.
Ora noi, o risorgiamo come squadra, o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, sino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso, signori miei. Credetemi.
E… possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi oppure aprirci la strada lottando verso la luce.
Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta.

Sapete col tempo, con l’età tante cose ci vengono tolte ma questo fa… fa parte della vita.
Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri. E così è il football.
Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine d’errore è ridottissimo. Capitelo…
Mezzo passo fatto un po’ in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate. Mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono sono dappertutto, sono intorno a noi, ci sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo.

In questa squadra si combatte per un centimetro. In questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi, per un centimetro. Ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro.
Perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri, il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza tra vivere e morire.

E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro.
E io so che se potrò avere un’esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì. In questo consiste, e in quei 10 centimetri davanti alla faccia.

Ma io non posso obbligarvi a lottare! Dovrete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi. Io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi. Che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui.

Questo è essere una squadra, signori miei!
Perciò… o noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente.
È il football ragazzi! È tutto quì.
Allora, che cosa volete fare?  »

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/film/o/ogni-maledetta-domenica-(1999)/citazione-25