Su 133 mld € di finanziamenti non rimborsati, l’85%, cioè 112 miliardi, corrisponde a crediti superiori a 125mila euro, quelli per lo più erogati alle grandi imprese – Patuelli, ex Sottosegretario alla Difesa con Ciampi, perché non dice che i prestiti sofferenti sono stati deliberati per lo più dalle direzioni generali e non dai funzionari?…

*Romain Zaleski*: come perdere quasi 2 miliardi di euro, con bilanci in rosso ininterrottamente dal 2008, dopo aver ricevuto in prestito dalle banche oltre 9 miliardi.
*Luigi Zunino*: nell’estate del 2009 i magistrati milanesi ne avevano chiesto il fallimento a fronte di una posizione debitoria vicina ai 3 miliardi. Da qui un lungo braccio di ferro con le banche creditrici e, quindi, lo stop del Tribunale che aveva respinto la richiesta davanti a un piano di salvataggio da realizzare tra il 2009 e il 2014, con il sostegno da mezzo miliardo messo sul piatto dagli istituti creditori: Intesa San Paolo, Unicredit, Banco Popolare, Bpm e Mps, in seguito all’operazione diventate azioniste di maggioranza della società di cui sono ancora creditrici per oltre 1 miliardo.
Chi è che non paga le rate dei finanziari bancari? Chi sono i responsabili dell’esplosione record delle sofferenze, schizzate a quota 133 miliardi di euro a giugno scorso? Secondo Antonio Patuelli i cattivi pagatori vanno cercati tra i «piccoli» clienti. Il presidente dell’Abi sostiene che l’84% dei soggetti in ritardo con le scadenze dei prestiti va individuato nella clientela retail. Solo il 15%, invece, rientrerebbe nella categoria « grandi aziende».
Di qui l’allarme rosso, lanciato nel weekend da Ravenna: quello delle sofferenze è un enorme «problema sociale». Il che, per certi versi, è vero. Sta di fatto che Patuelli ha in qualche modo giocato sui termini. Rimbalzando tra «affidati» (i clienti) e «affidamenti» (i finanziamenti). Una differenza apparentemente solo linguistica, ma che per la verità ha un peso enorme nel ragionamento del numero uno dei banchieri.
Vediamo perché. Il problema delle sofferenze, complessivamente, tra famiglie e imprese, riguarda 1 milione e 166mila soggetti: di questi l’84% (982mila persone), in effetti, è clientela di piccolo calibro, che ha finanziamenti fino a 125mila euro. Nel resto della platea (poco più del 15% del totale) ci sono grandi aziende (184mila soggetti). Ma se si guarda il valore delle sofferenze, le percentuali si ribaltano: quelle 184mila grandi aziende infatti sono «responsabili» di sofferenze per 112 miliardi (84%) sui 133 miliardi totali, mentre alle famiglie vanno «assegnati» non performing loan per poco più di 20 miliardi (il 15%).
Quando si tratta di bilanci, però, contano i quattrini e non il numero dei correntisti. Insomma, i conti degli istituti, come emerge dai dati della Banca d’Italia, sono zavorrati dai grandi clienti, in clamorosa difficoltà con le rate. E non dalle famiglie. Ad accendere i riflettori sui numeri «veri» di Bankitalia è stato il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il sindacalista ha spiegato che sopra quota 125mila euro i prestiti vengono deliberati dalle direzioni generali e non dai funzionari né in agenzia.
Come dire che quei 112 miliardi che pesano sui conti del settore vanno attribuiti all’alta dirigenza, ai piani alti dei gruppi. «Se un bancario sbaglia – attacca Sileoni – rischia il licenziamento, mentre quei manager che hanno contribuito a raggiungere la cifra record di 133 miliardi di sofferenze stanno ancora lì, al loro posto, strapagati e impuniti». Poi la richiesta all’Assobancaria di chiarire «quali fra i 133 miliardi di sofferenze si riferiscono a prestiti erogati senza garanzie e a quanto ammontano gli importi di affidamenti erogati sulla parola, chi li ha erogati e perché». Magari, si capirà pure la ragione dei rubinetti chiusi per le piccole e medie imprese.