“Non si presta più denaro”. Firmato: le banche italiane

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logo LINKIESTA     di   Antonio Vanuzzo

La pistola fumante del credit crunch

Lo svela il report dell’Abi nella parte per i soli associati: si impiega solo quel che si raccoglie

Prevediamo di non prestare denaro a famiglie e imprese fino al 2015. Firmato: le banche italiane. È quanto svela, in estrema sintesi, il rapporto AFO – Abi financial outlook 2012-2015 dell’associazione che riunisce gli istituti di credito nazionali, documento uscito lo scorso dicembre e rappresentativo di 40 banche. Nella parte della ricerca diffusa ai soli abbonati (il report accessibile a tutti, di seguito in basso, ma si ferma “strategicamente” a pagina 32), si legge a chiare lettere: «[…] Nel medio periodo la crescita degli impieghi dovrà essere inferiore alla raccolta dei residenti, e la dimensione di tale scarto sarà legata al livello obiettivo di funding gap da perseguire e anche al lasso temporale entro cui si vorrà raggiungere tale livello obiettivo».

Traduzione: prima si raccoglie, poi – eventualmente – si presta. Spiega ancora l’Abi: «Se fino a ieri contava soprattutto la gestione dell’attivo e il passivo era ritenuto funzionale ad un adeguato, e tutto sommato piuttosto semplice, finanziamento delle strategie di espansione degli impieghi, oggi sembra essere giunti ad un modello in cui è necessario dapprima trovare le risorse da impiegare e poi pensare al modo più redditizio e efficiente di investirle». In altri termini, lo sviluppo dell’attività bancaria sarà «più correlato alle condizioni di risparmio del Paese».

I piu' importanti banchieri italiani, ricchi ma impotenti rispetto a un buco di 155,8 miliardi di crediti incagliati.

I piu’ importanti banchieri italiani, ricchi ma impotenti rispetto a un buco di 155,8 miliardi di crediti incagliati.

Questo “cambiamento di paradigma” sta creando non pochi scompensi. In una noticina è la stessa Abi a riconoscere che «se le banche italiane volessero ritornare alla posizione netta di liquidità verso la Bce pre-Ltro (le due aste di finanziamento all’1% messe in piedi a fine 2011 e inizio 2012, ndr) sarebbero necessari attualmente fondi per poco meno di 90 miliardi di euro». Il bello viene però nelle righe successive, in cui Abi calcola che se cominciassero a vendere Btp per tornare al rapporto tra titoli di Stato e impieghi del 2011 «le banche disporrebbero di risorse per 205 miliardi di euro, cifra ampiamente superiore a quanto necessario a riequilibrare il rapporto con la Bce», visto che complessivamente i fondi presi a prestito dal sistema bancario hanno toccato i 259 miliardi. Nessuno, per ora, si è posto ancora il problema: per quanto di meno che in passato, con il Btp si guadagna ancora.

Stando ai calcoli di Kpmg sui conti 2011 degli istituti italiani, gli impieghi complessivi hanno toccato i 1.662 miliardi di euro: i 210 miliardi di titoli di Stato rappresentavano dunque 12% circa del totale. Nel 2012 gli impieghi sono rimasti sostanzialmente invariati, al contrario delle obbligazioni del Tesoro, salite a 331 miliardi, ovvero al 20% degli impieghi. Non solo: guardando l’ultimo Supplemento Statistico al Bollettino della Banca d’Italia nella sezione “Moneta e banche” (clicca qui e vai a pagina 34), lo scorso novembre i Btp si sono assestati a 403 miliardi. Un aumento del 108% rispetto al 2010, che ha ben rimpinguato i bilanci attraverso il “carry trade” ma – come è noto – non si è trasferito all’economia reale. E non lo farà in futuro, se come detto la crescita sarà inferiore alla «raccolta dei residenti». Secondo i numeri forniti dalla lobby guidata da Antonio Patuelli nel bollettino di dicembre, a novembre 2013 l’ammontare dei prestiti alla clientela erogati dalle banche operanti in Italia si è assestato a 1.851 miliardi, superiore rispetto alla raccolta (1.736 miliardi).

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