The China Bluff

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Perché nell’Asia-Pacifico la Cina ha bisogno degli Usa

di Francesco Sisci
RUBRICA SINICA Il volo dei bombardieri statunitensi sulla zona di difesa aerea di Pechino ha ammorbidito Giappone e Corea del Sud. Washington è necessaria nella regione: protegge l’Impero del Centro da se stesso, prima che dai suoi vicini.

[Carta di Laura Canali]

[Carta di Laura Canali]

PECHINO – Probabilmente ci sono due modi di guardare alla creazione della Zona di identificazione per la difesa aerea (Adiz) che comprende le isole Diaoyu/Senkaku, contese tra Cina e Giappone. Sì, molti Stati hanno un’Adiz, incluso il vicino paese del Sol Levante. E probabilmente presto o tardi la Cina ne doveva istituire una. Tuttavia, la creazione della nuova Zona cinese non è stata un’azione ordinaria, ma un modo per ribadire i propri diritti sulle Senkaku.

L’Adiz potrebbe far parte di una grande strategia per opporsi ai vicini ed estendere la portata territoriale della Cina. Oppure potrebbe trattarsi di uno sbaglio, un grave errore di calcolo in merito all’attuale equilibrio regionale nei mari che bagnano l’Impero del Centro.

Nel primo caso, beh, sarebbe inutile persino pensarci: questa strategia sarebbe controproducente e innescherebbe il processo di autodistruzione della Cina. Pechino ha troppi nemici potenti per provare a espandersi a loro spese. Inoltre, questo tentativo sarebbe contrario alla strategia di sviluppo pacifico promossa per decenni e alla recente dichiarazione del presidente Xi Jinping a favore di un legame più stretto con i vicini.

Se si è trattato di un grave errore, l’errata valutazione cinese dell’equilibrio di poteri parte dall’incomprensione dell’importanza strategica della presenza statunitense in Asia.

Molti cinesi pensano che essa sia un ostacolo alla crescita politica ed economica della Cina. Non vedono l’ora che un’America debole abbandoni la regione, lasciandola nelle mani di Pechino. Essi ritengono che l’arroganza dei vicini sia dovuta all’appoggio che ricevono da Washington. Senza il sostegno statunitense, questi paesi s’inginocchierebbero e accetterebbero il ruolo regionale della Cina.

È una valutazione sbagliata e grossolana, un wishful thinking della mentalità strategica cinese. Questa mostra così le sue difficoltà a comprendere e adattarsi alla moderna realtà delle relazioni tra Stati, preferendo rifarsi al tempo in cui la Cina era circondata da Stati vassalli, che rendevano omaggio alla corte di Pechino. Ora, senza scendere nei dettagli, quel tempo è finito.

Gli Stati vassalli non esistono più perché le relazioni internazionali non sono più basate sulla presenza di uno Stato centrale e una costellazione di paesi satellite. Gli Usa, l’attuale “Stato centrale”, non si comportano in questo modo. Nemmeno le premesse materiali di quel tipo di relazioni tra la Cina e i vicini sussistono più.

Quel sistema era valido quando la Cina rappresentava più della metà della ricchezza e della popolazione regionale e i vicini ne erano in qualche modo i vassalli. A quei tempi, prima dell’impatto massiccio delle potenze occidentali sulla Cina del XIX secolo, il Tibet era una specie di Stato vassallo e l’India era completamente fuori dai disegni politici di Pechino. L’America e l’Europa era come se non esistessero e i paesi confinanti del Sud-Est asiatico erano fedeli in parte alla Cina e in parte ad altri Stati vicini. La geografia era un ostacolo troppo grande perché potessero stringersi a Pechino.

Oggi invece il Tibet fa parte della Repubblica Popolare Cinese (Prc) e l’India è uno Stato confinante: il Sud-Est asiatico è quindi più vicino al cuore della Cina. Anche la Russia è presente politicamente, come lo sono gli Stati Uniti, l’Europa, l’Africa e l’America Latina. Ognuno di essi ha dei legami commerciali ed economici significativi con Pechino. Anche non considerando Usa, America Latina, Europa, o Africa, i paesi vicini della Cina (dall’India al Giappone, dalla Thailandia al Vietnam fino alla Russia) hanno complessivamente una popolazione, una ricchezza e una potenza militare maggiore rispetto alla Prc. Le cose sono cambiate molto da quando la Cina era un gigante e i vassalli dei semplici servitori.

Anche il contesto è diverso. Decenni fa, in circostanze normali l’ascesa cinese avrebbe innescato una corsa agli armamenti e guerre di confine. Oggi, i vicini hanno solo cominciato a preoccuparsi, circa 25 anni dopo che la repressione del movimento di Tiananmen aveva spaventato il mondo facendolo dubitare delle intenzioni dei leader di Pechino. All’epoca, il comportamento misurato di Washington aveva contribuito a mantenere la situazione sotto controllo.

Nel periodo in cui la Cina è cresciuta velocemente, non è scoppiata nessuna guerra di confine (malgrado tutte le dispute che coinvolgevano il paese) e non c’è stata una corsa agli armamenti significativa (che avrebbe potuto prosciugare le risorse necessarie allo sviluppo economico cinese). Tutto ciò è dovuto al fatto che gli Stati Uniti erano lì per garantire l’ascesa cinese, la sicurezza della regione e soprattutto l’equilibrio dei poteri. La presenza americana e la sua importanza sono ancora evidenti.

Se gli Usa scomparissero come per magia dall’Asia-Pacifico, non tutti i paesi accetterebbero il potere cinese. Al contrario, le tensioni raggiungerebbero il culmine perché nessuno crederebbe all’onestà della Cina, né che Pechino risolva i contrasti regionali in maniera amichevole. Ciò sottrarrebbe le risorse economiche allo sviluppo economico cinese in un momento in cui la Prc deve concentrarsi sul suo benessere e sullo sviluppo nei prossimi decenni. Focalizzarsi sulle relazioni internazionali potrebbe inasprire i problemi domestici, con un forte impatto sull’equilibrio interno dei poteri.

Perché non sono già esplosi dei conflitti? Gli Usa sono rimasti nell’Asia-Pacifico e l’equilibrio di poteri nella regione ha prevalso sulla tentazione di molti paesi confinanti di intraprendere una corsa agli armamenti o di assumere un atteggiamento più aggressivo contro la Cina. Ciò ha dato a Pechino tempo, risorse e possibilità economiche per occuparsi delle questioni interne e concentrarsi sui numerosi problemi sociali e di politica domestica, pensando meno a quella estera.

Più specificamente, quello delle Senkaku non è un problema nuovo. Le tensioni sono iniziate circa 15 anni fa, quando la Cina e il Giappone cercavano di definire la base continentale per reclamare i giacimenti di gas circostanti. In quel periodo, Tokyo desiderava assegnare alle Senkaku lo status legale di isole, non di rocce, per estendere le proprie rivendicazioni territoriali. Se in quel momento – quando il Giappone era di gran lunga più forte economicamente e militarmente della Cina – l’America non fosse stata presente, Tokyo avrebbe potuto essere più incline a usare molti mezzi di coercizione per affermare il possesso delle Senkaku. Dopo, per la Cina sarebbe stato più difficile reclamarne la sovranità.

Inoltre, 10 o 20 anni fa i paesi confinanti erano già preoccupati per la crescita economica cinese e avrebbero potuto iniziare a ostacolarla molto prima, poiché era chiaro che essa poteva essere in contrasto con i loro interessi. Probabilmente, senza la presenza americana, nella regione sarebbe scoppiata una guerra che avrebbe rallentato lo sviluppo cinese. Pechino sarebbe rimasta isolata e un ciclo di sottosviluppo e tensione si sarebbe abbattuto sull’intera regione.

Questo scenario non si è materializzato per molte ragioni, tra cui la prudenza e i calcoli della Cina, anche perché gli Stati Uniti hanno agito da garante della stabilità regionale. Senza l’America le cose sarebbero state molto più complicate. Per esempio, il Giappone avrebbe potuto iniziare un programma nucleare per opporsi a quello cinese. Come ha fatto l’India nel 1998 quando ha dichiarato che il proprio progamma nucleare non era contro il Pakistan ma contro la Prc. È vero che le tensioni sono aumentate nel 2010, quando l’allora segretario di Stato Usa Hillary Clinton è intervenuta sulla questione del Mar Cinese Meridionale, conteso da 6 paesi. Tuttavia, se non ci fossero stati degli attriti, nessuno avrebbe abboccato all’esca americana.

Il punto non è tanto perché la Clinton ha alimentato le tensioni nel 2010, ma perché gli Stati Uniti non l’hanno fatto prima. Questo non riguarda cosa gli Usa vorranno fare e faranno in Asia in futuro, che è un argomento diverso.

Ciò ci riporta allo stato attuale delle relazioni regionali. Cosa sarebbe successo se gli Usa non fossero stati presenti nel momento in cui la Cina ha dichiarato la nuova Adiz? Il Giappone avrebbe dovuto sfidare la Zona per dimostrare che non era sotto il giogo di Pechino. Se non l’avesse fatto, molti altri paesi avrebbero escogitato dei modi per contrastare la nuova ambizione cinese: perché è semplicemente spaventoso quando un ragazzone si comporta in una maniera così arrogante, facendo il prepotente con chi è più piccolo di lui.

In questa situazione, il Giappone – o l’India, il Vietnam, o la Russia –  avrebbero ideato un piano per violare l’Adiz. La Cina allora avrebbe dovuto prendere in considerazione delle contromisure. Le cose sarebbero potute andare facilmente fuori controllo. Gli Usa hanno deciso di far volare i propri aerei nell’area per ammorbidire la reazione giapponese e prendere in mano immediatamente la situazione. Un problema con la Cina è diventato allora un problema con un altro ragazzone, gli Stati Uniti. Altrimenti, se il Giappone avesse sfidato la Cina, l’opinione pubblica cinese avrebbe messo sotto pressione il governo per farlo rispondere a Tokyo e iniziare un tiro alla fune per le Senkaku.

In tale occasione gli Usa hanno dimostrato che la loro presenza è necessaria non semplicemente per controllare la Cina, ma per proteggerla da se stessa e dai suoi vicini. In questo senso, Pechino ha bisogno di Washington più di quanto ne abbia Washington di Pechino. La presenza statunitense può aiutare ad allentare le tensioni e ad agevolare i rapporti tra gli Stati. Ciò diventerà sempre più difficile dato che l’influenza regionale della Cina continua a crescere. Ad ogni modo, se gli Usa lasciassero l’Asia-Pacifico, perderebbero il loro peso a livello globale e il ruolo di potenza egemone. Ciò, tuttavia, non danneggerebbe gravemente la loro sicurezza domestica.

La questione più rilevante è quella delle tensioni intorno alla Cina e alle isole Senkaku. Prima dell’istituzione dell’Adiz da parte di Pechino, la Prc stava vincendo il confronto con il Giappone semplicemente restando immobile. Doveva solo aspettare che il Sol Levante si logorasse, come in un assedio. Anche se il Giappone non lo ammetteva, le isole erano effettivamente contese. Era un controsenso tale che Tokyo, prima o poi, avrebbe ceduto.

Ad ogni modo, la nuova Adiz della Cina fa vedere tutto da una prospettiva diversa: conferma le tesi di chi crede che Pechino stia provando a estendere la sua portata esterna e a rafforzare le proprie rivendicazioni territoriali e pertanto deve essere controllata.

Queste voci vengono dall’Asia-Pacifico, dall’America e dal resto del mondo. La Cina è troppo grande per non suscitare preoccupazioni. Tuttavia sarebbe naïf e limitativo pensare che queste tesi siano formulate dagli Stati Uniti e diffuse nel mondo. È proprio il contrario: il mondo le crea e gli Usa danno loro voce. Lo stesso processo, con un’incomprensione simile in Cina, si è verificato dopo la crisi finanziaria del 2008.

Per un paio d’anni Pechino ha smesso di far fluttuare la propria moneta, malgrado le proteste americane. La Cina pensava che fossero solo gli Usa a essere contrariati. In realtà paesi più piccoli, a cominciare dai vicini della Prc, stavano soffrendo in misura maggiore per la sottovalutazione dello yuan. Le proteste degli Stati Uniti hanno ammorbidito la posizione di tutti e reso più semplice la ricerca di una soluzione.

Questi temi lasciano aperte altre questioni spinose come il pivot to Asia degli Stati Uniti, la sua strategia e la sua direzione. Il che si lega all’opportuna sollecitazione di sostenitori interni da parte della Cina contro una possibile minaccia straniera al fine di placare l’opposizione domestica e raccogliere un po’ di sostegno proprio ora che deve affrontare importanti riforme economiche e politiche. Data la creazione della nuova Adiz cinese, si tratta di due sviluppi molto importanti che dovrebbero essere considerati con attenzione.

Al momento, vista la reazione morbida della Cina alla violazione della Zona di difesa da parte di Usa e Giappone, sembra che Pechino stia realizzando di aver commesso un errore.

Ciò lascia uno spiraglio per il futuro. La crescita economica della Prc sta determinando quella dei suoi vicini. Quindi i problemi con loro aumenteranno. I paesi vogliono essere “la prossima Cina”, sfidando Pechino economicamente, se l’economia funziona, e militarmente se questa non lo consente. In tale situazione, per la Prc la migliore linea d’azione è affrontare queste minacce economiche, politiche e militari direttamente oppure in maniera più morbida grazie agli Usa?

Anche questa domanda non ha molto senso, dato che gli Stati Uniti sono stati presenti in Asia per decenni e non se ne andranno. Tuttavia, se Washington vuole controllare la crescita della Prc e risparmiare denaro, ora che ne ha bisogno, potrebbe semplicemente ritirarsi dall’Asia (evitando di spendere miliardi in attività militari) e vendere armamenti più o meno indiscriminatamente attorno ai confini cinesi (guadagnandoci). Lasciando gli asiatici ai loro progetti e a una corsa agli armamenti in fieri. Una situazione che potrebbe facilmente culminare in un’imponente guerra, affondando la regione per un secolo.

Il fatto che gli Usa non lo stiano facendo dovrebbe aiutare la Cina a rivedere le proprie strategie di sviluppo e le relazioni internazionali, ora che il Ventunesimo secolo sembra stia cominciando davvero.

(Copyright 2013 Francesco Sisci – traduzione dall’inglese di Giorgio Cuscito)

(10/12/2013)

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