La luce dal suolo andava affievolendosi e il cielo diventava purpureo, dappertutto tranne che a occidente, dove il ventre dei nuvoloni era color malva e salmone.
« E ricordo un altro ieri, quando mia figlia era una bambina. Passeggiavamo lungo questo viale. In questo preciso momento, i nervi della mia mano ricordano la sensazione delle sue dita grassocce strette a una delle mie. Questi alberi maturi erano allora degli arbusti piantati di fresco; poveri alberelli macilenti legati ai pali di sostegno con pezzi di stoffa bianca. Chi avrebbe mai pensato che dei rametti così goffi e adolescenti potessero diventare abbastanza vecchi e saggi da recare conforto senza la presunzione di dare consigli ? Chissà …chissà se gli americani faranno tagliare tutti questi alberi perché non danno frutti manifesti. Probabilmente. E probabilmente con la migliore delle intenzioni. »
Nicholai si sentiva un po’ a disagio. Kishikawa-san non si era mai confidato così. La loro relazione era sempre stata caratterizzata da una reticenza piena di comprensione.
«L’ultima volta che sono venuto a trovarti, Nikko, ti ho chiesto di tenerti in esercizio con le lingue. L’hai fatto ?»
«Sissignore. Ho la possibilità di parlare solo giapponese, ma ho letto tutti i libri che mi ha portato, e qualche volta parlo tra me in varie lingue. »
«Specie in inglese, spero.»
Nicholai fissò l’acqua. «In inglese quasi mai.»
Kishikawa-san annuì. «Perché è la lingua degli americani ?»
«Sì.»
«Hai mai incontrato un americano ?»
«Nossignore.»
«Però li odi lo stesso.»
«Non è difficile odiare quei barbari bastardi. Non occorre che li conosca individualmente per odiarli come razza.»
«Ah, ma vedi, Nikko, gli americani non sono una razza. Questo, in effetti, è il loro difetto principale. Sono, come hai detto tu, dei bastardi.»
Nicholai alzò lo sguardo, sorpreso. Il generale difendeva gli americani ? Solo tre giorni fa erano passati per Tokyo e avevano visto gli effetti del più grande bombardamento della guerra, diretto in modo specifico contro i quartieri residenziali e civili. La stessa figlia di Kishikawa-san… il suo nipotino…
«Io li ho conosciuti, gli americani, Nikko. Ho prestato servizio per breve tempo con l’addetto militare a Washington. Te l’avevo mai detto ?»
«Nossignore.»
«Be’, come diplomatico non ero molto brillante. Bisogna sviluppare una certa obliquità di coscienza, un atteggiamento piuttosto elastico verso la verità, per riuscire nella diplomazia. Io mancavo di queste doti. Ma ho imparato a conoscere gli americani e ad apprezzarne difetti e virtù. Sono abilissimi mercanti, e hanno un grande rispetto per il successo economico. Ti potranno sembrare virtù da poco e di cattivo gusto, ma sono conformi ai disegni del mondo industriale. Tu diresti che gli americani sono dei barbari, e hai ragione, naturalmente. Lo so meglio di te. So che hanno torturato e mutilato prigionieri degli organi sessuali. So che con i loro lanciafiamme hanno dato fuoco a degli uomini per vedere fin dove riuscivano a correre prima di crollare. Barbari,sì. Ma, Nikko, i nostri soldati hanno fatto cose simili, cose di un orrore e di una crudeltà che superano ogni descrizione. La guerra, l’odio e la paura hanno trasformato in belve i nostri compatrioti. E noi non siamo barbari; la nostra moralità avrebbe dovuto essere rinforzata da mille anni di civiltà e di cultura. Se vogliamo, proprio la barbarie degli americani è la loro scusa… No, queste cose non si possono scusare. La loro spiegazione. Come possiamo condannare la brutalità degli americani, la cultura dei quali è un sottile mosaico messo insieme in una manciata di decenni, quando noi stessi siamo bestie feroci senza compassione e umanità, malgrado i nostri mille anni di storia e di nobili tradizioni ? L’America, dopo tutto, è stata popolata dalla feccia d’Europa. Se lo riconosciamo, dobbiamo ammettere che sono innocenti. Innocenti come la vipera, innocenti come lo sciacallo. pericolosi e traditori, ma incolpevoli. Tu hai parlato di loro come di una razza abietta. Non sono una razza. Non sono nemmeno una cultura. Sono un brodo di cultura delle briciole e degli avanzi del banchetto europeo. Nel migliore dei casi, sono una tecnologia beneducata. Al posto dell’etica, hanno delle norme. La misura è per loro ciò che per noi è la qualità. Ciò che per noi è onore è disonore, per loro è vincere e perdere. Davvero, non devi pensare in termini di razza; la razza è nulla, la cultura è tutto. Di razza tu sei un europeo; ma culturalmente non lo sei, e perciò non lo sei. Ogni cultura ha le sue forze e le sue debolezze; non si possono mettere a confronto. L’unica osservazione sicura che si può fare è che un misto di culture dà sempre come risultato la somma di quanto c’è di peggio in ambedue. Ciò che è male in un uomo o in una cultura è il robusto, malvagio animale che c’è sotto. Ciò che è bene in un uomo o in una cultura è il fragile, artificiale accrescimento dei freni della civiltà. E quando le culture si incrociano, prevalgono inevitabilmente gli elementi più vili e dominanti.. Perciò, vedi, quando tu accusi gli americani di essere dei barbari, in realtà li hai assolti dalla responsabilità di essere insensibili e superficiali. E’ solo nell’indicare il loro imbastardimento che tocchi il loro vero vizio. Ma vizio è la parola giusta ? Dopo tutto, nel mondo del futuro, un mondo di mercanti e di meccanici, i bassi impulsi del bastardo saranno quelli che domineranno. Il futuro è occidentale, Nikko. Un futuro minaccioso e impersonale di tecnologia e automazione, è vero, ma pur sempre il futuro. Tu dovrai vivere in questo futuro, figlio mio. Non ti servirà a niente liquidare l’americano con una smorfia di disgusto. Dovrai cercare di capirlo, se non altro per non essere danneggiato da lui.»
Kishikawa-san aveva parlato a bassissima voce, quasi tra sé, mentre passeggiavano lentamente lungo l’ampio sentiero nella luce che moriva. Il monologo aveva il tono di una lezione impartita da un maestro amorevole a un indocile scolaro; e Nicholai aveva ascoltato con la massima attenzione a testa china.
Tratto da SHIBUMI di Trevianan – 1979