Il nostro Columnist di oggi è il Generale CARLO JEAN . Riflessioni sulla decadenza Italiana.

Carlo Jean (Mondovì, 12 ottobre 1936) è un generale e scrittore italiano. Esperto di strategia militare e di geopolitica, ha scritto numerosi articoli e pubblicazioni su Geopolitica e Geoeconomia che ne fanno uno dei più autorevoli esperti a livello italiano e internazionale. Attualmente insegna studi strategici alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Luiss ed alla Link Campus di Roma, è membro del Consiglio Scientifico della Treccani, del Comitato Scientifico della Confindustria e del Comitato Scientifico della Fondazione Italia USA. Collabora con le riviste di geopolitica Limes e Geopolitica come membro dei rispettivi consigli scientifici. Fonte: Wikipedia

Carlo Jean (Mondovì, 12 ottobre 1936) è un generale e scrittore italiano.
Esperto di strategia militare e di geopolitica, ha scritto numerosi articoli e pubblicazioni su Geopolitica e Geoeconomia che ne fanno uno dei più autorevoli esperti a livello italiano e internazionale. Attualmente insegna studi strategici alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Luiss ed alla Link Campus di Roma, è membro del Consiglio Scientifico della Treccani, del Comitato Scientifico della Confindustria e del Comitato Scientifico della Fondazione Italia USA. Collabora con le riviste di geopolitica Limes e Geopolitica come membro dei rispettivi consigli scientifici.
Fonte: Wikipedia

 GIB4I/SMEs  ha posto due quesiti a Carlo Jean.

1) Chi sono stati i Responsabili della débâcle della ex sesta potenza economica mondiale ?

2) Posto ed assodato che l’Italia è un Paese di capitalisti senza capitali, potrebbe avere ancora un senso una forte e rinnovata presenza pubblica nei settori più avanzati dell’Italia in modo di ricominciare a sviluppare ricerca e valore aggiunto per tutta la Nazione e i suoi migliori cervelli invece di fare speculazioni finanziarie, per ingrassare i soliti noti, con gli assets strategici nazionali realizzati con i soldi dei contribuenti italiani ?

 1. Responsabili decrescita economica italiana

Carlo Jean per GIB4I/SMEs

Il declino economico italiano inizia dal 1996. Tutti gli indicatori lo confermano. Incomincia cioè da quando l’Italia perde la sovranità monetaria, quindi la capacità di effettuare svalutazioni competitive.

Il declino si accelera con l’accettazione di un cambio lira/euro di 1.936 e rotti.

Diventa più conveniente comprare prodotti stranieri e le esportazioni italiane divengono meno competitive. Con tale tasso di cambio la lira viene rivalutata di circa il 30%.
La conseguente perdita di competitività non viene compensata dalla riduzione dei tassi di interesse per i prestiti alle imprese.
 

Il peso del debito non diminuisce negli anni successivi all’adozione dell’euro.

Nel 1992-95, gli spread tra Italia e Germania si mantennero sui 500 punti (con picchi sopra i 700). L’era EURO ha decretato spread di 50-100 punti;  rammendiamo a tutti, che il contenimento dei tassi di interesse era,  appunto, il maggior vantaggio per l’Italia nell’ingresso nell’Euro-zona.

Tale vantaggio che non si limita al settore pubblico (minori interessi da pagare sul debito pubblico), ma si estende al sistema privato (tassi agevolati sui mutui ed il credito per le famiglie e finanziamenti piu’ convenienti per le imprese), non viene colpevolmente impiegato per la riduzione del debito, ma per l’aumento delle spese correnti. Così, quando tale vantaggio si attenua con l’aumento non tanto dello spread, quanto dei tassi d’interesse di BOT e CCT, il sistema sballa.

Oggi, quasi il 6% del PIL viene speso per il servizio del debito.

Come ha proposto il prof. Savona occorrerebbe congelare per qualche anno il rifinanziamento del debito. Solo in tal modo, oltre che con la privatizzazione del patrimonio pubblico, si potrebbero reperire le risorse necessarie per rilanciare l’economia italiana.

Oltre che a tali cause monetarie, il declino italiano è dovuto a ragioni strutturali:

  1. decadimento culturale generale del paese; carenze della nuova classe dirigente politica;
  2. abnormi dimensioni del settore pubblico – meno dinamico di quello privato e caratterizzato da un minore aumento di competitività;
  3. amministrazione pubblica soffocante;
  4. giustizia civile con tempi troppo lunghi e inefficiente, data la sua imprevedibilità; giustizia penale pasticciona, impunemente responsabile del collasso di interi settori industriali; modifica del Titolo V della Costituzione, con conseguente aumento del contenzioso fra Stato e regioni e blocco o ritardo di qualsiasi decisione;
  5. relazioni industriali rimaste in parte ancorate ai tempi della lotta di classe;
  6. aiuti pubblici alle imprese erogati a favore delle aziende decotte o di settori senza futuro, invece che alle imprese più produttive;
  7. scambio del concetto di welfare con quello di assistenzialismo; informazione e cultura economica carente nella scuola e nei media;
  8. scarsa efficacia della repressione della criminalità organizzata;
  9. privatizzazioni fatte in modo disastroso (Telecom!) e riguardanti capacità produttive, ma non servizi sociali (acqua, ecc.);
  10. costo dell’energia penalizzato anche dagli aiuti eccessivi dati alle c.d. “rinnovabili”.

Le responsabilità del declino vanno attribuite a tutta la classe dirigente non solo politica ed amministrativa, ma anche imprenditoriale e sindacale del paese, nonché a carenze culturali ereditate dal passato (assistenzialismo da dama di San Vincenzo; condizionamenti dell’ideologia della lotta di classe contro la piovra capitalista o pluto-giudaico-massonica)

2. Presenza pubblica

La presenza pubblica è essenziale in tutte le economie industriali non solo per la definizione di regole adeguate ad una moderna società industriale, ma soprattutto per la ricerca scientifica di base e per quella tecnologica specie nei settori precompetitivi, quelli cioè che devono ancora maturare prima di divenire suscettibili di applicazioni produttive.
Un settore che è trainante in molti paesi è quello delle RS militari, che riguardano i settori tecnologici di punta e attività, come quelle spaziali, suscettibili d’importanti “spinoff” nel campo delle produzioni commerciali.

Per inciso, investimenti nella ricerca militare consentono di non violare formalmente le regole del WTO, mascherando agevolmente la loro natura di dumping.

Le tecnologie sono sempre più duali, ad applicazione sia militare sia commerciale.
Quando lo Stato interviene a sostenere un’impresa o una banca in crisi dovrebbe nazionalizzarle o commissariarle.

La Cassa Depositi e Prestiti potrebbe svolgere al riguardo un ruolo per taluni versi simile a quello dellIRI di Beneduce negli anni ’30.

Beninteso è necessario trovare un nuovo Beneduce. Non è così semplice!
Gli operatori del manifatturiero dovrebbero essere avvantaggiati rispetto a quelli dei servizi. Oggi avviene il contrario. Gli avvocati guadagnano più degli ingegneri e dei ricercatori nei settori delle scienze e delle tecnologie “dure”.

*Carlo Jean, generale, insegna studi strategici alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Luiss ed alla Link Campus di Roma,  è tra i massimi esperti di strategia militare e geopolitica, ex consigliere militare del presidente Cossiga, ex presidente della Società di gestione degli impianti nucleari, è un uomo che non le manda a dire…..e pertanto riflette bene il “mood” di questa testata.

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